Henrik Lindstrand di recente ha pubblicato il suo nuovo album Builder’s Journey,che abbiamo recensito qui. Incuriositi da questo album particolare, gli abbiamo chiesto com’è stato comporre per la prima volta la colonna sonora di un videogioco e dei suoi progetti futuri.
Da musicista rock e compositore di colonne sonore (di film), qual è stata la tua prima reazione quando LEGO Games ti ha contattato per ideare l’ambiente sonoro di un videogioco?
“L’ho presa come una nuova opportunità per addentrarmi in un’area creativa che non avevo mai esplorato prima. Inoltre, è stato incoraggiante sapere che avevano ascoltato il mio primo album da solista e che quindi erano interessati a lavorare con me come compositore per questo gioco. Come compositore di colonne sonore per il cinema, ho lavorato a generi molto diversi. Questo l’ho sentito come un progetto più personale fin dall’inizio.
Anche se il processo creativo era molto aperto, eravamo d’accordo sull’estetica generale della musica. È un sogno per un compositore quando ti viene chiesto di creare per qualcosa che è già parte della tua espressione.”
Quali sono, secondo te, le principali differenze fra il comporre musica per il cinema e per i videogiochi?
“La differenza principale è che il tempo non è limitato come nei film. Ogni giocatore trascorrerà un diverso quantitativo di tempo in ogni livello, il che richiede delle composizioni musicali che possano essere dilatate e che varino nel tempo. Builder’s Journey non contiene dialoghi e ha degli effetti sonori molto casuali. Quindi, la musica ha un’importante ruolo narrativo per aiutare a raccontare la storia e creare l’atmosfera insieme alla progettazione del gioco.”
Guardando a Builder’s Journey, viene naturale compararlo con Monument Valley: quali riferimenti hai usato per la colonna sonora per questo gioco?
“Non avevo particolari riferimenti nella fase compositiva. Ho scritto i temi per i personaggi e per alcuni dei livelli come Fireplace e Gameshow. Un metodo abbastanza simile a quello che utilizzo quando scrivo per i film. Mi sono focalizzato sulle melodie e sui temi inizialmente più che sull’atmosfera di sottofondo. Più avanti abbiamo guardato ai giochi come Florence e Inside per vedere come la musica i suoni sono stati implementati nelle transizioni tra livelli.”
La tracklist dell’album sembra suggerire una narrazione. Mi fa pensare alla mia infanzia quando giocavo sia all’aperto che in casa. Hai immaginato l’album come una storia o come una raccolta di diversi momenti?
“Penso che la musica abbia un aspetto narrativo nel gioco. Era anche importante che la musica potesse essere autonoma e piacevole da ascoltare al di fuori del gioco. Ogni titolo può essere visto come una parte di questo piccolo viaggio. Inoltre, crescendo io stesso con i LEGO, c’era un elemento nostalgico mentre componevo per i mattoncini.”
Il design del suono dell’album è denso ed intenso e dà un’atmosfera completa e notevole. Come hai prodotto i suoni dell’ambiente?
“Ho seguito lo stesso schema di regole come per i miei album da solista. Questo significa che ho utilizzato solo un pianoforte e un pianoforte a coda come fonti sonore.”
Quali suoni hai usato maggiormente per creare l’atmosfera di Builder’s Journey?
“Tutti gli strati della musica di sottofondo sono vengono da pianoforte e pianoforte a coda e sono poi stati processati e manipolati lungo il percorso. Credo che questo dia un suono organico in generale. Ho usato tape delays, granular synthesis e vari riverberi, delays ecc. per creare quegli ambienti sonori.”
Builder’s Journey sarà materiale per delle performance live?
“Ho già eseguito la title track in due concerti in Danimarca quest’anno e spero di utilizzare altro della colonna sonora per i miei concerti live in futuro.”
Cosa vedi nel tuo futuro dopo la pubblicazione di Builder’s Journey? Continuerai a focalizzarti sulla tua carriera da solista o dobbiamo aspettarci nuova musica dai Kashmir?
“Attualmente sto lavorando con LEGO a dei nuovi progetti. Sto anche per finire il mio terzo album da solista e sono in contrattazione per nuovo film più avanti quest’anno. È altamente improbabile che pubblicheremo nuova musica con i Kashmir a breve termine ma vedremo cosa ci porterà il futuro. Non vedo davvero l’ora di riunirmi questa primavera per la prima volta dopo sei anni sul palco con i ragazzi.”
Grazie mille e ci vediamo in giugno a NorthSide e Tinderbox!
“Prego, grazie per il vostro interesse – a presto!”
Sono le 18:00 del 15 Febbraio a Bologna e i Management sono appena arrivati al Locomotiv Club. Mentre il resto della band si prepara per il sound-check, mi dirigo nei camerini per l’intervista a Luca Romagnoli, frontman della formazione abruzzese.
Ciao Luca! Finalmente siete tornati con il nuovo disco, Sumo ed un nuovo tour a due anni dall’ultimo lavoro. Siete pronti a ritornare sul palco?
“Siamo prontissimi! Ci siamo preparati a lungo, anche perchè ci sono stati molti cambiamenti, di vario genere, anche nel modo in cui presentiamo i brani, sia nuovi che vecchi.”
Ve lo avranno già chiesto ma mi sembra una domanda dovuta: a proposito di cambiamenti, perchè avete fatto questo cambiamento di nome, da Management del Dolore Post-Operatorio al solo Management?
“Certo, domanda lecita! Tant’è che già prima ci chiedevano il perchè ci chiamavamo così ed ora che abbiamo cambiato, insomma un casino! Con il nuovo disco, Sumo, e questa nuova attitudine, volevamo cancellare tutta quella parte provocatoria e iconoclasta che ci ha rappresentato, dato che oggi se ne fa anche fin troppo uso a livello spettacolare. Vediamo contenitori senza contenuto e si fa fatica poi a distinguere la provocazione intelligente dalla sterile provocazione; tutto questo apparato ha cominciato ad avere sempre meno valore per noi. Ci siamo voluti concentrare fortemente sulla musica, sulla poetica, gli arrangiamenti, la produzione. Volevamo parlare solo attraverso le canzoni, su disco e dal vivo; dove prima c’era molto dialogo, quasi spesso un monologo fatto di rabbia e imprecazioni ora c’è pulizia. Vogliamo arrivare solo attraverso i nostri brani.
Quindi l’ultima provocazione è stata proprio quella del nome, che a livello estetico rappresentava la nostra parte schizofrenica.”
Parliamo del nuovo disco, Sumo, uscito lo scorso Novembre: l’ho ascoltato attentamente ed infatti ho notato questi cambiamenti che tu mi hai appena citato. Rispetto ai precedenti lavori c’è una diversa attitudine, sia nei suoni, sia ne testi finanche alla interpretazione. Meno irriverenza, meno rabbia, ma comunque sempre intenso e a tratti malinconico. Me lo hai già in parte accennato, ma cosa è cambiato?
“Siamo già arrivati al quinto disco e nei lavori precedenti abbiamo sempre registrato in maniera folle e compulsiva negli spazi che avevamo tra un tour e l’altro, con quell’urgenza di scrivere e non ci siamo mai fermati veramente. Così abbiamo deciso di fermarci: finalmente riesci a capire dove sei arrivato e quali sono le strade che vuoi prendere. Ci siamo resi conto che dal primo disco ufficiale, Auff,del 2012, erano passati 6 anni e che eravamo cambiati. Oltre ai cambiamenti di cui abbiamo parlato nella domanda precedente c’è stata una consapevolezza; ogni disco rappresenta un periodo e non per forza deve essere coerente col precedente, anzi io sono conto la coerenza artistica, per carità! Per cui ora volevamo raccontare questo nuovo periodo, con tutte le nostre incertezze, le paure, il dolore di un amore finito, una persona che non c’è più, un’assenza, una lontananza. Ci sentivamo di raccontare nuove cose ed è quindi uscito questo disco molto nostalgico, più malinconico, super intimo. Noi scriviamo tante canzoni prima di registrare e non ci sembrava che altre canzoni all’interno di questo disco avessero un senso.”
Come nascono le canzoni dei Management? Qual’è la filiera creativa?
“Io e Marco di Nardoscriviamo sempre allo stesso modo, forse neanche tanto normale, in quanto lui si dedica esclusivamente alla musica, agli arrangiamenti ma senza conoscere la tematica della canzone, che io inserirò in un secondo momento. Lavoriamo a comparti separati ed io amo scrivere solo se già conosco la musica. Non riesco a stare 7/8 ore con foglio e penna in mano, non mi uscirebbe nulla! Devo avere già una musica in cui posso venire immerso.
Anche perchè uso quel tempo diversamente, vado al bar, mangio, bevo, mi masturbo! Mi viene assai facile invece lasciarmi trasportare dalla musica e scrivere in maniera istintiva e molto ritmica, mi piace che le parole abbiano un ritmo sulla musica.”
La vostra musica è influenzata da altri artisti o band? Avete dei riferimenti musicali?
“Proprio per il motivo che ti dicevo prima, per la modalità di scrittura, Marco è influenzato dai suoi ascolti per quanto riguarda la musica, io invece sono sempre stato appassionato del grande cantautorato italiano, i mostri sacri! Marco, essendo anche produttore, ha un ascolto più aggiornato e internazionale.”
Che ne pensate dell’attuale scena italiana?
“Non credo che ci siano dei geni, compresi i sottoscritti! Però devo dire che c’è tanta qualità e tante cose da dire e una cosa che io vedo in maniera positiva è che i giovani stanno sostituendo la vecchia guardia! Ma questo “indie” di cui molti si lamentano che sta diventando pop, non credo sia così! Semplicemente sta entrando nel mainstream inteso però non negativamente. Sta diventando la nuova musica nazionale, quindi non c’è più spazio per Albano, fenomeno relegato magari ai nostri genitori o ai nostri nonni. Ora per i giovani ci sono finalmente i giovani! Ed è una cosa buona che si sia creato tutto questo spazio, cosicché anche nel piccolo ci sono tante band “minori” che riescono ad esporsi. Quello che forse un po’ mi dispiace è che si sia quasi eliminata la questione alternativa, il mondo alternativo vero, quello contro, quasi non esiste più.”
Si, negli anni è un aspetto che è effettivamente cambiato, una volta c’era una differenza più netta tra quello che era visto come “alternativo” e il “mainstream”…
“Si esatto, noi una volta ci posizionavamo come alternativi e non avevamo nessuna intenzione o il pensiero di dire “Un giorno andremo a Sanremo”, oppure “Farò i palazzetti”, mentre oggi c’è questa possibilità ed è un pensiero di tutti. Questo è positivo, però esclude anche un pensiero, che è fondamentale nella musica, cioè di avere una scena che sia contro e che si ponga come alternativa totale alla televisione, alla radio, al sistema. C’è una sorta di omologazione, per forza di cose. Però appunto sono fiducioso che nella storia, negli anni, arriveranno sempre dei giovani con la voglia di distinguersi e che vogliono rompere il culo agli altri giovani che fanno sempre la stessa cosa. Per esempio, fino a qualche anno fa, sono stati quelli della trap a farlo! Però adesso essendo diventata fenomeno mondiale, ripercorrono anche loro sempre i soliti cliché. Si è presa tutto lo spazio ma alla fine ora dicono tutti sempre le stesse cose, stessi argomenti.”
Quindi avete visto Sanremo?
“Bè si, in parte, distrattamente, ma comunque non me ne vergogno!”
Avete mai pensato di partecipare?
“Quando eravamo più piccoli, proprio per il discorso dell’alternativo, Sanremo era quella cosa, che schifo! Ora è diventato solo spettacolo, una vetrina, di conseguenza se uno vuole proporre la sua canzone ci può andare senza problemi, tanto non è in gara con nessuno. Però negli ultimi anni si sta facendo tantissimo spettacolo a discapito delle canzoni, che se ci si pensa, quali restano? Le canzoni per sempre ormai non esistono più, soprattutto in quel contesto, in cui Sanremo sembra quasi un Festivalbar, preparazione al possibile tormentone estivo e finisce là, non si crea un fenomeno culturale.”
Tornando al disco Sumo, mi ha colpito molto la citazione della poetessa Patrizia Valduga…
“E’ tutto legato al cambiamento, che nell’arte è fondamentale, cercare sempre una nuova verità, sperimentare. Siamo organismi biologici, sempre in continuo cambiamento e per quale motivo uno deve essere sempre uguale a se stesso artisticamente se dal punto di vista biologico, organico, non lo è? Quella quartina bellissima di Patrizia Valduga fa riferimento proprio al cambiamento continuo che fa si che io non sono quello di 10 anni fa, ma ero comunque io, diverso da ora. Al contempo chi mi guarda come può dire “tu non sei quello di prima”?!
Siamo quella cosa che cambia, ma tutti noi, a prescindere dalla musica.”
Avete un concerto, una situazione, che vi rimarrà indelebile per sempre?
“Sicuramente quello che non dimenticheremo mai, proprio perchè tra eventi unici e importantissimi della tua vita, quando siamo andati al Circolo degli Artisti a Roma, a breve distanza dall’uscita di Auff (2012). Eravamo ancora quasi sconosciuti, ci siamo ritrovati invece con il locale pienissimo e non ce lo aspettavamo! Soprattutto abbiamo fatto un bellissimo concerto, forse il migliore di tutti.”
Invece concerti che andate a vedere?
“Io sinceramente non vado spesso a vedere concerti, mi dà un po’ fastidio stare in piedi stretto in mezzo alla gente, mi viene l’ansia, mi fa male anche la schiena! Però l’ultimo concerto, fammici pensare! A parte qualche cosa indie l’ultimo grosso concerto è stato Vasco Rossi.”
Per quanto riguarda i testi, scrivete in italiano. Una scelta naturale o una presa di posizione? Avete mai pensato di rivolgervi a un pubblico internazionale?
“Abbiamo da sempre scritto in italiano, dando importanza alla nostra lingua, al testo, alla poetica, di quello che diciamo al pubblico tra una canzone e l’altra; è sempre stato molto importante. Non abbiamo nessuna pretesa di andare a suonare all’estero, anche se in realtà ci siamo andati. Mi piace quando il pubblico ascolta e capisce bene la tua lingua e recepisce le emozioni. C’è da dire che una volta suonammo a Berlino davanti a un pubblico esclusivamente tedesco ed è stato molto bello per l’approccio diverso all’ascolto; tutti si facevano prendere dalla ritmica, ballavano senza ovviamente capire le parole. Bellissimo. Però a me, che scrivo soprattutto i testi, piace che si capisca e in Italia si fa molta più attenzione alle parole che in altri paesi.”
Al di là di questo tour, progetti futuri?
“Noi vogliamo solo scrivere canzoni, quindi finito questo tour ci rimetteremo a scrivere il disco nuovo e lo vorrei far uscire il prima possibile, perchè siamo stati fermi due anni e siamo impazziti. Un po’ di pausa l’abbiamo presa, abbiamo capito chi siamo, vediamo che succederà, magari sarà completamente diverso ma lo vogliamo fare subito perchè aspettare altri due anni fa male!”
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PARLARE AGLI SCONOSCIUTI: IL NUOVO SINGOLO DI AN EARLY BIRD
IL RITORNO DEL SONGWRITER CON TALK TO STRANGERS, BRANO CANTATO INSIEME ALL’ARTISTA OLD FASHIONED LOVER BOY
Reduce da un anno ricco di live – circa 70 tra Italia ed Europa e al fianco di artisti come Scott Matthews, Stu Larsen e Grant Lee Phillips, torna An Early Bird con il nuovo singolo Talk To Strangers, distribuito il 21 Febbraio da Artist First.
Talk To Strangers, prodotto presso Il Faro Studio di Somma Lombardo da Claudio Piperissa e Lucantonio Fusaro durante le sessions del secondo full length del cantautore, racconta la sensazione di non sentirsi totalmente capiti dalle persone più vicine. Da qui nasce il bisogno paradossale di aprirsi agli sconosciuti sentendosi a volte anche più capiti.
Musicalmente il brano continua un percorso di ricerca che ha progressivamente spostato il cantautore dai suoni indie folk del primo album Of Ghosts & Marvels – uscito nel 2018 – a quelli più scuri dell’EP In Depths, uscito alla fine del 2019 per Ghost Records.
Il risultato richiama un solido songwriting di stampo folk-pop con delle derive dreamy, tra Travis, Ben Howard e Sparklehorse, e vede la partecipazione di Old Fashioned Lover Boy, altro artista appartenente alla scena alt folk italiana.
“La cosa è nata in modo molto spontaneo perché io e Alessandro siamo molto amici: è semplicemente venuto a trovarmi durante le registrazioni e ci abbiamo messo davvero poco a entrare nella dinamica di collaborazione. È la prima volta che lascio cantare qualcun altro parte delle mie canzoni eppure sono felice di averlo fatto perché il risultato mi emoziona molto”.
Il secondo full length di An Early Bird è presumibilmente previsto per seconda metà del 2020.
Merio, classe 1988, inizia ad ascoltare hip hop nel 2005, poco dopo a scrivere testi e a fare freestyle.Hacominciato il proprio percorso artistico nel duo Fratelli Quintale (assieme a Frah Quintale), con cui ottiene da subito ottimi riscontri grazie a performance live e a uscite come Weekend col Morto Mixtape.
Nel 2015, Merio e Frah decidono di separarsi per intraprendere delle carriere soliste.
Merio pubblica diversi singoli eil 19 novembre 2019 esce Madame Putain, singolo che segna un cambiamento di stile musicale e l’inizio della sua collaborazione con l’etichetta Hokuto Empire.
In occasione dell’uscita del nuovo singolo Isola gli abbiamo fatto qualche domanda per sapere di più sulla canzone e su come sta andando il suo progetto da solista.
Ciao Merio! Il 31 gennaio è uscito il tuo nuovo singolo Isola: come è nato e di cosa parla?
“Diciamo che Isola fa parte di un capitolo composto da tre pezzi che sono Madame Putain, Isola ed il prossimo, che dovrà uscire tra un mesetto circa. In pratica ho voluto raccontare la mia ultima storia sentimentale ma al contrario, nel senso che Madame Putain parla della fine di questa relazione mentre Isola è come il ritorno a quel momento in cui ti accorgi che non ti trovi più bene con una persona e non riesci ancora a capirne il motivo, quindi è più l’espressione di una mia riflessione interiore. Questa considerazione era nata in una sera in cui mi ero ripromesso che avrei richiamato la mia ragazza il giorno seguente per raccontarle tutto ciò che mi ero minuziosamente studiato, ma poi, il giorno dopo, ho sentito in casa andare in loop questa base e questo fatto ha dato il via alla mia voglia di scrivere e mi sono scordato di tutto. In poche parole questo pezzo rappresenta un viaggio interiore che racconta di quel momento in cui nessuno dei due ha il coraggio di dirsi che la storia è finita.”
Nel brano racconti di un’inaspettata svolta. Ci sono state altre giornate in cui ti sei accorto che bastava poco: il sole, un evento inatteso per dimenticare tutti i propositi della sera prima?
“Si esattamente, nella canzone in particolare, quando dico “volevo chiamarti ma è spuntato il sole”, è ovviamente una metafora. Il sole può essere inteso sia come una bella notizia ricevuta, o conoscere una persona che ti piace e ti fa dimenticare un po’ tutto, oppure anche semplicemente una meravigliosa giornata di sole che dà una svolta al tuo umore e fa cambiare tutti i tuoi propositi.”
Dopo aver intrapreso il tuo percorso da solista, ti senti ancora influenzato dall’esperienza Fratelli Quintale con tuo fratello?
“Sicuramente con mio fratello ho iniziato a fare musica quindi questa esperienza me la porterò sempre dietro. Sono molto cambiato rispetto ad alcuni anni fa e cerco di far crescere la mia musica insieme a me e alla gente che mi segue, perchè non mi piace fare sempre le stesse cose, diciamo che mi annoio facilmente ed ho sempre bisogno di nuovi stimoli.
Ad esempio rispetto al mio disco da solista Pezzi di Merio che è uscito nel 2018, i contenuti sono molto diversie anche i prossimi singoli che pubblicherò in futuro avranno nuovi orizzonti. Sto attualmente creando una mia identità musicale a livello di suono ma senza forzarla, facendola venire fuori nel modo più naturale possibilee quindi lascio che le cose facciano il loro corso.”
Quali sono gli artisti che ascolti più spesso in questo periodo?
“Non saprei darti una risposta ben definita in quanto ascolto praticamente qualsiasi cosa spaziando tra i vari generi dalla musica sudamericana, elettronica fino alla trap e vado a periodi a seconda del mio stato d’animo. Mi piace lasciarmi ispirare un po’ da tutto.”
Quali obiettivi hai per il tuo futuro? Hai in mente delle collaborazioni con altri cantanti?
“Collaborazioni per il momento ancora non lo so, sicuramente voglio fare qualcosa e ho alcune idee ma ancora niente di deciso. A breve usciranno altri singoli fino ad arrivare alla pubblicazione di un nuovo album.”
E per quanto riguarda i live?
“Per il momento siamo fermi, però sicuramente faremo qualche apertura ad alcuni festival questa estate anche se saranno comparse relativamente brevi.”
Le Ore, duo romano pop composto da Francesco Facchinetti (solo un caso di omonimia) e Matteo Leva, dopo essersi fatti conoscere sul web con alcune cover, hanno raggiunto milioni di ascolti con singoli come La Mia Felpa È Come Me, brano che li ha fatti arrivare nella rosa dei finalisti di Sanremo Giovani 2018. Si sono fatti sentire con Oh Madonna! che è il loro brano con più ascoltatori e salvataggi nelle prime 24 ore. Come tutti i loro brani finora, la traccia è scritta dal duo capitolino, prodotta dal binomio Federico Nardelli/Giordano Colombo (già al lavoro con Gazzelle, Fulminacci e Ligabue) e distribuita Artist First. Il loro piccolo repertorio, ma che punta ad allargarsi, è costellato da un’atmosfera genuina e da una musica che si presenta nuova e rassicurante allo stesso tempo. Le Ore hanno fatto quattro chiacchiere con noi proprio dopo due esperienze importanti come i concerti al Monk di Roma in aperura di Clavdio e all’Apollo di Milano per Spaghetti Unplugged, avvenute lo scorso dicembre, ecco cosa ci hanno raccontato.
Presentatevi ai nostri lettori e spiegateci chi sono Le Ore.
Le Ore: “Piacerebbe spiegarlo anche a noi stessi chi sono Le Ore, ma negli anni c’abbiamo rinunciato, “limitandoci” a fare tutto quello che ci facesse esprimere. Quasi subito abbiamo capito che, raccontandoci in maniera schietta sui social, avrebbe potuto non esserci differenza tra Francesco e Matteo e Le Ore, quindi la nostra avventura partita (pubblicamente) dal web con foto e video, si è poi ricongiunta con la musica che offline facevamo già da tempo, anche se non insieme. Da quel momento cover ed eventi, fino ad arrivare a un punto in cui è stata necessaria una disintossicazione da social network, fondamentale per dedicarci completamente alla scrittura della musica nostra. Siamo tornati quasi un anno dopo col nostro primo singolo La Tenerezza ed è stato uno spettacolo. Solo a quel punto chi ci seguiva ha capito davvero chi fossero Le Ore.”
Le Ore era anche una famosa rivista pornografica italiana che ha fatto diventare famosi personaggi come Cicciolina e Moana Pozzi. Quanto è casuale la scelta del nome e quanto questo immaginario può avere influenzato la vostra musica?
Le Ore: “Sarebbe bello dire che il nostro fosse un tentativo di aprirci una strada nel mondo del porno, ma in realtà quando abbiamo pensato a Le Ore non sapevamo proprio dell’esistenza della rivista. Ovviamente quando abbiamo comunicato il nome ai nostri genitori, i sorrisetti maliziosi si sono sprecati, allora abbiamo capito che dovevamo tenerlo, e che anche gli over 40 se lo sarebbero ricordato facilmente. L’immaginario relativo alla pornografia probabilmente influenza chiunque, anche chi nella vita non scrive canzoni o non ha a che fare con la creatività, a maggior ragione influenzerà chi racconta sensazioni, esperienze e con una pausa, un respiro o con la voce rotta interpreta il verso di un brano.”
Il vostro ultimo pezzo si chiama Oh Madonna!, che può essere considerato sia un’imprecazione che una preghiera, mentre il pezzo prima era dedicato a Radio Maria. Che rapporto avete con la religione, con il sacro e soprattutto con la Madonna?
Matteo: “Sono figlio di un pastore evangelico e da sempre Dio fa parte della mia vita, quando riesco ancora oggi suono la batteria in chiesa la domenica e vivo la religiosità molto serenamente, tanto che quando Francesco mi ha portato il testo di Radio Maria ho appoggiato da subito le provocazioni che c’erano dentro, perché parlano della vita di tutti noi, senza nascondersi dietro a ipocrisie o bigottismi.”
Francesco: “A me non piace bestemmiare nonostante non sia cresciuto in una famiglia particolarmente credente, sono però cresciuto rispettando gli altri che, anche se può sembrare scontato, non lo è, anche nelle migliori famiglie “credenti”. Proprio per questo motivo non avrei mai scritto un brano (o due in questo caso) contro la chiesa, ma non avrei fatto neanche una sviolinata. Radio Maria parla di una notte di merda in cui, tra l’altro, in macchina parte Radio Maria. Non è altro, quindi, che un semplice giudizio sulla stazione radio in sé che parte nei momenti meno opportuni, di conseguenza la frase “se sento un altro prete che canta da domani cambio mestiere”. Oh Madonna! invece è una delle esclamazioni più usate, l’accezione dipende dal contesto, ma in entrambi i casi è soft, quindi no problem: “Oh Madonna! Quanto sono felice quando sei felice. Oh Madonna! Quanto sono triste quando sei felice senza di me…”.”
Il vostro sound e la vostra scrittura potrebbero tranquillamente essere associati al cosiddetto it-pop ma si sentono anche molte influenze del cantautorato dello scorso secolo. Poi siete prodotti dal duo Federico Nardelli/Giordano Colombo, che hanno già lavorato con artisti come Gazzelle, Fulminacci e persino Ligabue. Quanto vi sentite vicini a questa corrente musicale e quali sono le vostre principali influenze?
Matteo: “Se cominciassimo a parlare delle nostre influenze musicali servirebbe una rubrica a parte, quindi ci limiteremo a citare i background che ci rendono diversi ma (forse) complementari. Francesco è la persona musicalmente più acculturata che abbia mai conosciuto, il suo genere preferito fin da piccolo è la musica black, quindi dal blues all’RnB più moderno, ma l’ho conosciuto già ferratissimo su tutta la musica pop internazionale e italiana del secolo scorso, oltre alla musica alternative, quella sperimentale, generi e sottogeneri che faticherei ad elencare. Io invece ho ascoltato veramente tanto rap, italiano e oltreoceano da piccolo, passando per il punk, pop punk, pop rock crescendo, costruendo inevitabilmente un mio bagaglio più “da band”, che unito allo stile più solista e cantautorale di Francesco ha dato vita a un bagaglio unico più ricco. Per quando riguarda la scena it-pop, se fatta con onestà intellettuale e libertà creativa, è una scena che lascia molto spazio alla musica ispirata da correnti e influenze tra le più disparate, perciò ci fa piacere essere accostati ad artisti che stimiamo, poi ci sono anche quelli che ci sembrano un po’ meno onesti e un po’ troppo atteggiati, ma non è questa la sede per parlarne.”
Siete un duo romano e non lo nascondete. Quale è il vostro rapporto con la città eterna e con la sua tradizione musicale?
Francesco: “Io sono di Viterbo, ma mi sento parte di questa scena romana anche perché Le Ore sono nate a Roma e sono diventate quelle che sono, a livello umano e creativo, nelle notti insonni in giro per la capitale, che senza dubbio è la città più bella al mondo. Proprio per l’amore che proviamo per Roma, frequentiamo sempre di più Milano, per lavoro, per le opportunità che offre e soprattutto per la qualità della vita là. Roma la amiamo al punto da non poterla vedere così, al punto da volerla vivere come i nostalgici che tornano e la abbracciano dopo due settimane passate fuori, perché gestita male, pensata male, perché inchiodata e stanca, stancata dagli stessi romani che troppo spesso non si rendono conto delle responsabilità che hanno, per non parlare poi dell’amministrazione.”
Nelle vostre canzoni sentiamo synth, autotune, assoli di chitarra e break elettronici, con un cantato e una scrittura di testi che ruba da vari generi, come fosse un ponte fra diverse epoche e diversi modi di concepire la musica. Vi sentite un progetto senza tempo?
Le Ore: “Una domanda bellissima che ricorderemo per sempre, seriamente. Sarà che ci chiamiamo Le Ore, che si sa possono passare (e oggettivamente passano sempre), ma possono anche restare in testa, su una pellicola o su un hard disk. Nonostante ci sia un’evoluzione nel sound dai nostri primissimi singoli, effettivamente gli elementi digitali non schiacciano mai del tutto quelli analogici e viceversa, così come le frasi più retoriche o d’impatto non sono mai da sole, ma affiancate da discorsi più quotidiani scritti (e pronunciati) come faremmo ogni giorno nel parlato. Più che una domanda, a cui oggettivamente è impossibile per noi rispondere, prenderemo questa questione come un complimento e siamo felici così.”
Proprio recentemente avete iniziato con i live in delle cornici molto speciale per questa scena musicale, cioè il Monk di Roma il 13 Dicembre e l’Apollo di Milano il 15. Come sono andati questi concerti?
Le Ore: “È stato bello e sembra scontato dirlo, ma non lo è, soprattutto per chi ha sempre fatto tutto da sé: da rimediare gli eventi in cui suonare live con le cover a fare le grafiche o i montaggi dei video per i social, quindi poter (per la prima volta) non inserire nemmeno un brano di altri in scaletta è stato per noi una soddisfazione. Roma è casa ed è stato bello vedere facce nuove che ci hanno conosciuti su Spotify e sapevano le canzoni a memoria, idem a Milano, dove siamo stati felici di portare la nostra musica all’Apollo, club in cui negli ultimi mesi abbiamo visto (e conosciuto) alcuni dei nostri artisti preferiti.”
Con il vostro precedente singolo La Mia FelpaÈ Come Me vi ha fatto arrivare fra i finalisti di Sanremo Giovani 2018. Cosa vi ha lasciato questa esperienza?
Francesco: “Adesso sono passati tre singoli da La Mia Felpa È Come Me, dopo aver fatto Sanremo Giovani sono passati nove mesi prima di tornare con Ci Metti Il Resto e non è stato un caso. Quello che raccontiamo in quel pezzo ha tanto a che fare con l’esperienza sanremese, con il mondo intorno che ti forma, ti sforma, ti arricchisce o ti deruba, ma per rendercene conto dovevamo necessariamente far spegnere un po’ i riflettori (una cosa che periodicamente ritorna nel nostro percorso) e capire chi fossimo noi, più che come persone come artisti. Quando sei a Sanremo l’emozione è tanto grande, soprattutto per chi come me è cresciuto attaccato alla tv sbavando per Pippo Baudo [ride], sentirsi presentare in diretta su Rai1 proprio da lui è una cosa che porterò dentro finché morte non mi separi da questo mondo. La band della Rai, gli amici, i colleghi, mai visti come avversari, ma come compagni di una gita privilegiata e inaspettata che ci ha dato e lasciato tanto. Dico sempre che in quei dieci giorni siamo cresciuti di due anni, ed è vero: la prima volta in tv, la prima volta con gli ear monitor, la prima volta di fronte a tanti addetti ai lavori con cui, tra l’altro, siamo in contatto ancora adesso. Questo è uno di quegli aspetti che, se non sei abbastanza in grado di gestire te stesso, ti si può anche rivoltare contro, perché in tanti sembrano avere la ricetta per il tuo successo in quella situazione, ma, se ci pensi un attimo, il vero successo è continuare a mettere un piede davanti all’altro come hai fatto fino a quel momento. Perciò abbiamo preso tutto il bello di Sanremo e ne siamo fieri, l’esperienza, la musica, chi la ascolta, chi la fa, chi ci aiuta a farla meglio, il resto l’abbiamo lasciato là, perché non ci interessava e non ci interesserà mai, vedi la competizione o le varie logiche per voler apparire più di faccia che di musica.”
Quali sono i vostri progetti futuri? Cosa avete pronto nel cassetto?
Le Ore: “Tanta musica, ne scriviamo di nuova ogni giorno, sperimentiamo coi suoni e con i testi, ci spingiamo laddove riusciamo a sorprendere noi stessi, con il pensiero a quella musica sui palchi di tutt’Italia. Vorremmo solo questo, ma non per il 2020 ma per il 2000 e sempre.”
Per concludere, consigliateci un libro, un disco ed un film per conoscervi meglio.
Le Ore: “Se la domanda numero quattro avrebbe avuto bisogno di una rubrica a parte, questa avrebbe bisogno di un blog tutto suo. Siamo malati di cinema, evidentemente anche di musica e sappiamo apprezzare i buoni libri, anche se per mancanza di tempo spesso si accumulano sul comodino. Saremo brevi e concisi con i primi che ci passano per la mente: libro Il Cardellino di Donna Tartt, disco Modern Vampires of The City dei Vampire Weekend, film Parasite di Bong Joon-ho.”
Mattia Mariano, classe 1993 di Lecce, è cresciuto artisticamente col rap per poi passare ad un genere più cantautorale. Nel 2019 firma con la JEANS, uscendo con un nuovo progetto: Bombarolo.
Bombarolo è un breve concept EP che unisce sonorità attuali e passate, ispirato dalle opere di Fabrizio De André e in particolare dal personaggio del suo album Storia di un impiegato.
Mattia Mariano racconta la storia di un personaggio, PLAQO, che è il protagonista dei cinque brani che compongono il disco.
Per conoscere meglio il suo percorso artistico gli abbiamo fatto qualche domanda, parlando del suo nuovo EP. Ecco cosa ci ha raccontato.
Ciao Mattia! Qual è stato il tuo percorso artistico finora e cosa ti ha spinto a passare dal rap ad un genere più cantautorale?
“Ho iniziato fare rap circa nel 2010 nelle gare di freestyle, quel concetto associativo del rap mi è sempre piaciuto.Nel 2018 dopo aver cambiato vari gruppi, ho cominciato a ricercare una svolta e in questa fase particolare della mia vita mi sono ritrovato ad ascoltare molto Fabrizio De André e il cantautorato in generale. Quando poi ho ascoltato Storia di un impiegato (album del 1973) ho trovato quello che forse nel 2010 sentivo nel rap cioè quella “sana strafottenza” e quel senso di non innocuo.”
Il 14 gennaio è uscito il tuo primo EP Bombarolo: com’è nato e di cosa parla?
“Il Bombarolo riprende la figura omonima di Fabrizio De André in Storia di un impiegato. Il mio EP è nato quasi per caso. Quel disco mi ha stregato completamente perché oltre che essere il primo concept album nella storia della musica italiana, lo trovo avanguardistico sotto tutti i punti di vista. Quando provavo a scrivere brani rap, non mi sentivo vero, sentivo una forza dura proprio nella scrittura perché la trap o il rap specie negli ultimi anni, ti costringe a scrivere in un determinato modo e ti vincola a determinati concetti, quindi avevo assolutamente bisogno di esprimermi in una maniera un po’ più complessa, perché è una musica che tende un po’ a semplificare. Mi sono ritrovato a voler riadattare De André alla trap.”
Quali sono gli artisti che hanno più influenzato la tua scrittura nella realizzazione di questo EP?
“Ho ascoltato tantissimo Fabrizio De André, Battiato soprattutto negli ultimi due anni, Caparezza. Anche Achille Lauro mi ha influenzato perché mi ritrovo nel suo vissuto e mi piace molto il suo tipo di scrittura: sebbene semplice è però efficace ed quello a cui ambisco.”
Nel brano La Ballata dei Dimenticati parli di un’umanità ferita o che cerca perdono per i propri sbagli, secondo te c’è una possibilità di riscatto per questi “dimenticati”?
“Il brano, essendo poi l’ultimo dell’EP, è più o meno la rappresentazione del Bombarolo, che dopo aver fatto un atto folle ha un momento di solitudine e dice “okay io adesso sono un dimenticato in questo momento sono al pari delle prostitute , sono al pari dei tossici e degli alcolizzati…”. Chiaramente il discorso dell’essere dimenticati, ripreso dall’idea dell’album di De André, è un concetto che mi piacerebbe allargare; penso che ogni persona abbia un motivo per sentirsi dimenticato e mi auguro semplicemente che chi si sente così ne prenda coscienza. Io credo che dal momento in cui se ne prende coscienza, il giorno dopo ci si può già sentire un po’ meglio di prima.”
Ci saranno dei live prossimamente?
“Certo, assieme alla mia etichetta discografica ci stiamo impegnando per avere la possibilità di poter fare qualche live in futuro.”
Cosa si prospetta nel tuo futuro, musicalmente parlando?
“Ho già alcuni “brani dimenticati” scritti ma sto iniziando a creare nuovi brani. Rimarrò sempre sul genere più cantautorale e mi piacerebbe poter continuare a lavorare nel mondo della musica per molti anni.”
Il 17 gennaio è uscito Fare Schifo, primo album di Scrima, giovane cantautore romano, già noto per i singoli Sofia ed Elisa. L’album è segnato da un sodalizio particolare: quello con Alessandro Forte (già produttore di Galeffi e Aiello), il quale ha anche avviato l’artista al suo percorso musicale.
L’album contiene nove brani e vede il suo filo rosso nell’amore, che plasma tutte le tracce dell’album, non esclusivamente nella forma di una storia finita; contiene un featuring con Mameli (Come quella sera) e un brano, Zanetti, realizzato a quattro mani con Riccardo Zanotti (Pinguini Tattici Nucleari).
Ho ascoltato l’album di Scrima il giorno in cui è uscito: le nove tracce non hanno richiesto molti sforzi per poterne apprezzare tutte le sfumature. Mi hanno colpito al primo ascolto, sorprendendomi traccia dopo traccia. I brani emergono dalla scena it-pop e da quella pop in senso più classico: è un lavoro che riesce ad inserirsi nella perfetta via di mezzo, senza pendere verso nessuna delle due direzioni in particolare.
Le canzoni nascono tutte da un’esperienza autobiografica: forse il dono di Scrima è quello di saper trasformare in parole l’esperienza che sta raccontando, nella totalità della sua forma.
Le tracce dell’album sono tutte cariche di emozioni e sensazioni diverse, probabilmente perché frutto di un’esperienza autentica. È proprio la loro autenticità che permette a chi le ascolta di identificarsi in ognuna di quelle parole, anche al primo ascolto.
L’album rappresenta un lavoro in cui l’artista non ha avuto paura di mostrarsi nudo davanti al suo pubblico: è questa la sensazione che le sue canzoni mi hanno trasmesso. Dalla semplicità toccante di brani come Milano alla delicatezza del ritratto Tommaso.
Non c’è bisogno di dilungarsi ancora: credo sia un album da ascoltare. Nel frattempo leggete cosa ci ha raccontato, sul suo album e il tour che si avvicina.
Fare schifo è il titolo che hai scelto per l’album. Devo rivelarti che prima di ascoltarlo ho pensato agli Skiantos, e al loro “imperativo morale”. Sono due cose abbastanza lontane, questo album e la loro musica. Mi è rimasta però comunque la curiosità, c’è un piccolo riferimento a loro?
“Conosco molto bene gli Skiantos e devo dire che apprezzo la loro musica, però non è collegato a loro. Il mio “fare schifo” è legato all’amore, alla sofferenza che ti porta la mancanza fino al punto di lasciarti andare completamente. Vuoto incolmabile che ti porta a fare schifo.”
Parliamo di Lei. Quando l’ho ascoltata ho avuto la sensazione che fosse una canzone che in realtà ho sempre conosciuto. Penso sia quella che mi ha colpito prima di tutte. Ci vuoi parlare un po’ di questo brano, di come è nato, e il legame che ha con gli altri dell’album? C’è uno storytelling abbastanza preciso dietro i primi pezzi.
“Lei è per me un po’ un piccolo gioiello all’interno dell’album . È una canzone in cui il lieto fine c’è. Lieto fine di un vero e proprio storytelling che parte dalla traccia numero uno Meno Male e attraverso il quale i protagonisti superano ogni tipo di avversità legata all’amore, fino a riconciliarsi proprio in Lei. Dico chiaramente “ancora tu, ancora lei” proprio per descrivere il riavvicinamento tra i protagonisti del pezzo. Parlando di stile sicuramente è meno indie rispetto ad altri brani nel disco ma forse è quello di cui sono più innamorato.”
Le canzoni che compongono l’album le ho sentite molto a fuoco, focalizzate bene verso una direzione, pur essendo diverse le une dalle altre. Mi sembra un lavoro dotato di molta personalità, probabilmente perché ti rispecchia molto. Vedi queste canzoni come piccole parti di te? Quanto c’è di te stesso all’interno di ognuna?
“All’interno di ogni singola canzone c’è tutto me stesso perché non riesco a scrivere di cose inventate. Parlo sempre ed esclusivamente di quello che mi succede in prima persona, cercando con immagini semplici ma profonde di far rispecchiare più persone possibili in quello che dico. Vi ringrazio poi per il complimento perché aver un disco che segue un certo stile significa essere distinguibili dalla massa e per un cantautore essere ben riconoscibile è una cosa fondamentale. Vorrei che un domani accendendo la radio, l’ascoltatore possa riconoscermi dopo 5 secondi di canzone.”
Nell’album c’è un featuring con Mameli in Come quella sera. Come vi siete conosciuti? Vuoi raccontarci come è nata questa collaborazione?
“Con Mario ci siamo conosciuti tramite la nostra etichetta, ma eravamo in contatto già mesi prima perché aveva collaborato anche lui con il mio attuale produttore Alessandro Forte.
Una volta entrati con la stessa etichetta ci siamo messi a lavoro e abbiamo pensato di scrivere delle cose insieme perché c’è molto rispetto tra noi, umano ma soprattutto artistico. A parte il featuring, insieme ci scambiamo sempre provini e bozze di brani nuovi. I suoi consigli e il suo parere per me sono sempre indispensabili.”
Mentre Zanetti è stata scritta a quattro mani con Riccardo Zanotti. Mi chiedo spesso come nasca una canzone quando nel processo creativo sono coinvolte due teste, quattro mani, e tanti vissuti diversi. Avete scritto insieme tutto, dal testo alla musica, o vi siete divisi “i compiti”?
“Zanetti è un brano che abbiamo scritto in due ore dentro la mia cameretta. Riccardo venne a Roma con l’idea di scrivere un brano insieme. Non sapevamo né come né in quanto tempo. Alla fine dopo due ore il pezzo era finito e il giorno dopo l’abbiamo prodotto insieme ad Alessandro Forte. Siamo stati abbastanza rapidi. Abbiamo scritto insieme tutto, musica e testi. Credo che nella versione finale ci siano ancora le chitarre che registrò Riccardo in studio nel provino. Erano perfette così.”
Sei nato e cresciuto nel quartiere popolare Giardinetti di Roma. Quanto ha influito, nella tua scrittura e nella tua musica, Roma? È punto di riferimento di un cantautorato ben preciso e anche di una nuova scuola, tra trap e rap. Cos’hai preso dalla tua città?
“Sicuramente la zona da cui provengo non è una zona facile. Posso dire che la musica mi ha creato l’alternativa alla monotonia della borgata e mi ha allontanato dalla cattiva strada. Quindi in un certo senso mi ha salvato. Roma poi, la città più bella del mondo. Ogni angolo ti offre spunti e piccoli dettagli che arricchiscono sicuramente in modo influente la penna di un’artista. Poi ovviamente bisogna saperli cogliere e anche quella è la bravura di un cantautore. Devo tanto alla mia città.”
Manca meno di un mese a Sanremo, e ci troviamo già in quel vortice sanremese che attraversa un po’ l’Italia in questo periodo dell’anno. Hai mai pensato a una tua partecipazione al Festival? Ti piacerebbe?
“Sono sincero. Non ci ho mai pensato ma sicuramente sì, mi piacerebbe moltissimo. È il sogno di ogni cantante o cantautore salire su quel palco e chi dice il contrario mente.”
Ti vedremo impegnato in un tour? Se sì, cosa ti aspetti da questa esperienza?
“Il tour sta per partire. Ci sono le prime tre date secche di lancio del disco. 21 febbraio Roma al Largo Venue, 20 Marzo Milano all’Ohibo, e il 21 Marzo Bologna al Club Mikasa. Voglio solo divertirmi tantissimo e cercare di divertire le persone. Vorrei regalargli l’emozione che ho io quando scrivo un brano e vederle uscire felici da un mio concerto.”
Tempo fa invece hai aperto una data importante di Galeffi a Roma. Come hai vissuto l’esperienza dell’opening? Sei davanti a un gruppo di persone che non ti conosce, o ti conosce poco, e devi cercare di convincerle in pochi minuti, con una selezione di brani…
“È stata un’esperienza fantastica. Marco per me è un fratello e ci sosteniamo molto a vicenda. Quello è stato il regalo più bello che mi potesse fare ed anche una grande responsabilità per me.
Il live è andato bene. Sono sincero, ho chiuso gli occhi, ho attaccato Sofia chitarra e voce e la gente ha cantato, anche forte. Direi molto bene.”
Allora, ti va di salutarci dicendoci quale brano dell’album sceglieresti, per presentarti a una persona che non ti conosce?
“Vi saluto e vi ringrazio per la bellissima intervista. Sicuramente per presentarmi sceglierei Lei perché è un brano immenso e potente che arriva dritto nel cuore delle persone.”
Classic stay classy: di questi tempi affidarsi al vintage è praticamente una sicurezza. E allora J Milli, producer di Cogito, disegna un pattern che profuma di Stranger ThingseStand By Mema che racchiude, nella propria essenza, una struttura digitale in salsa di synth e loop. Il cantante, dal lato suo, strozza il dondolo del basso e le sortite digitali con una voce graffiata e disincantata, una voce ferita e per questo ancora più viva. Risultato? Una bella bomba. O meglio, una Molotov. Come in una Primavera di Praga amorosa i due lagunari ricamano su una tela di vissuto giovanile situazioni che sono “un po’ come quando ti sbucci un ginocchio, se lasci che la ferita si rimargini e faccia la crosticina poi passa anche se lascia il segno. Però se ti gratti sanguina.”.
Uscito l’11 di Dicembre scorso a corredo del recente EP Come va?, il pezzo di Cogito si porta intrinseco il fascino dei canali veneziani, sua città d’origine, “vicina solo due fermate ma a volte così lontana”; si porta dietro quella confusione giovanile che più o meno tutti abbiamo provato almeno una volta, quell’essere spaesati con il mondo attorno che corre perché si ha una persona ferma in testa. Riprendendo stilemi compositivi e canori vicini a Gazzelle, Cogitoracconta vividamente situazioni pervase da un’emotività spesso latente, sensazioni racchiuse e pronte ad esplodere, appunto, come una bomba carta. Con una scrittura interessante e un timbro profondo, il pezzo si eleva immediatamente a colonna sonora di stati d’animo sporcati di ferite fresche ma anche macchiati irrimediabilmente di nostalgia, un pezzo che va assaporato lentamente fino a che viene capito e fatto proprio, personale: e se questo avvenisse, sono sicuro che il ritornello, “con i miei perchè puoi fare/una molotov e buttarmela addosso/cosi esplodo per te/cosi esplodi anche te/cosi siamo io e te”sarà urlato nell’abitacolo della vostra macchina.
Ma veniamo a qualche domanda più specifica.
Mi soffermo subito sull’aspetto melodico di questo tuo nuovo pezzo: apertura da ballatona rock direttamente dagli anni ’80, poi attacca il synth. E i giri di basso in sottofondo sono ipnotici: come avete partorito tu e J Milli questa figata?
“Molto interessante come domanda. Questa canzone, come spesso capita, è stata partorita da J Milli a livello di produzione musicale; poi; una volta nata; io la coccolo. Abbiamo scelto una linea guida per quanto riguarda lo stile che volevamo per questo brano, quello appunto della ballatona rock dagli ‘80, proprio anche come stesura del testo, ma poi facciamo fatica a stare distanti dai synth. Questo anche perché inconsciamente quando produciamo pensiamo sempre alla dimensione live.
Per quanto riguarda i giri di basso si sente che arrivano proprio da quella dimensione reggae/funk che accompagna J Milli nel suo progetto musicale laterale al nostro. In più il ragazzo che ha suonato per noi in fase di registrazione, Timo Orlandi, ha toccato quelle corde del basso come se ci stesse facendo l’amore. Siamo stati davvero contenti di come sia usciti finito il brano.”
Lo stile ibrido di Molotov è un aspetto che mi incuriosisce molto: è il risultato di un’osmosi dei vostri gusti musicali o siete allineati come riferimenti?
“Io e J Milli abbiamo sia gusti in comune sia differenti. La cosa che però ci accomuna è che ci piace proprio la musica! Se gli faccio sentire un brano che mi piace, che magari non avrebbe mai ascoltato, non parte prevenuto ma anzi è subito pronto ad ascoltare ed apprezzare e così vale anche per me se è lui a farmi scoprire qualcosa.
Direi però che i nostri gusti musicali personali non sono proprio allineati nel nostro cervello. Io passo da ascoltare i NOFX (punk) a Harry Styles (pop) e lui idem passa dai Twinkle Brothers (reggae) alle trappate americane fatte bene.”
A proposito di riferimenti, questa volta canori: l’indolenza della tua voce mi ricorda Gazzelle, il ritmo gli Psicologi.
“Apprezzo un sacco questi riferimenti! Per il brano ho scelto proprio uno stile alla Gazzelle come reference, ovviamente rimanendo me stesso al 100%. Psicologi credo possano essere un riferimento adeguato perché entrambi possiamo essere posizionati in quel mondo detto ‘’indie’’, anche se oggi non vuol dire!
Ascoltiamo parecchio hip-hop, se guardo il mio Instagram seguo moltissimi rapper e in macchina è più facile che faccia partire Marra piuttosto che Calcutta, ma poi quando scrivo spesso sto male e se sto bene non riesco ad affrontare tematiche street come quelle dei rapper perchè non mi appartengono davvero molto.
Sono un mix di tante cose, può sembrare un bel casino, ma io sono contento così.”
Dopo averti chiesto dell’aspetto melodico e dell’aspetto canoro, ora ti chiedo della scrittura: trovo molto azzeccato il senso metaforico che si sviluppa nel testo. Al pari dell’aspetto musicale, quello della scrittura è un mondo colmo di creatività: come lo coltivi?
“Credo che il modo migliore per coltivare questo aspetto sia quello di essere sé stessi. Quando uno scrittore scrive sta raccontando qualcosa quindi il migliore allenamento è vivere le cose, essere profondamente sé stessi e imparare a dirle.
Cerco di scrivere molto in maniera da poter dire sempre meglio le cose che penso e vivo, sto anche trovando la mia dimensione stilistica cercando di non farmi troppo influenzare da quello che è il modo di scrivere di altri artisti.
Leggo, anche se è difficile. Non so quanto possa essere un allenamento. Per il cervello sicuramente e anche per la creatività, ma come se sai scrivere non diventi automaticamente un poeta allo stesso modo se divori libri non diventi uno scrittore.
Scrivere, scrivere e ancora scrivere è secondo me l’allenamento migliore.”
Ok, pausa sigaretta e domanda personale. L’oggetto della canzone: ferita fresca?
“Io preferisco il caffè (ahah).
L’oggetto della canzone è una ferita che non si sa cucire. E’ un po’ come quando ti sbucci un ginocchio, se lasci che la ferita si rimargini e faccia la crosticina poi passa anche se lascia il segno. Però se ti gratti sanguina.
Diciamo che ho ancora un po’ di prurito che non va via.
L’amore è anche questo. Viva l’amore.”
Un particolare molto bello della tua canzone è la sua armonia, la sua fluidità: il flow cavalca le note in maniera dolce, la voce accarezza il synth e si fa guidare dalle linee ritmiche: quanto lavoro c’è dietro all’unione dei due aspetti?
“È una domanda a cui non so rispondere sinceramente. Non so quanto lavoro veramente ci sia dietro. Quando scrivi e vai sempre di più davanti il mic inizi a sentire cos’è più giusto fare sulla base. C’è un equilibrio, ad esempio le ripetizioni sono una scelta ma poi alcune melodie vengono semplicemente chiudendo gli occhi.
Se non funziona J Milli mi bacchetta e quindi iniziamo a fare versi sulla base e sistemiamo sopra le parole.
Spesso però capiamo che la melodia è quella giusta quando riascoltandola iniziamo a ridere.
Quando chiudi un bel brano lo senti, che sia triste o super happy, comunque tu sei felice.”
Hai racchiuso secondo me benissimo una situazione sentimentale che è capitata più o meno a tutte le persone: questa canzone mi riporta a situazioni e posti vissuti. Se ti chiedessi da quale città arriva questa tua canzone?
“Che bomba di domanda!
Sarò scontato ma così pensandoci dalla mia camera ti direi Venezia.
Proveniamo dalla provincia di Venezia, due fermate di treno dall’isola. Ti dico Venezia perchè è una città così unica e bella che per quanto sia a noi vicina a volte è tremendamente lontana. Quando sai di avere qualcosa tra le mani lo dai sempre per scontato, succede così anche in amore. Venezia è unica, come una persona che ami ma se non la vai a trovare non la vivi.
Venezia perchè tra quelle calli son successe cose intime ma allo stesso tempo mi sono ubriacato con gli amici in piazza.
In più è una città piena di amore e di ragazzi da tutte le parti del mondo ma allo stesso è davvero fragile tra quei canali che spesso la fanno piangere.
Venezia poi è dove ho assistito alle prime manifestazioni ai tempi del liceo.
Se Molotov è una rivoluzione d’amore Venezia è la città perfetta.”
Trovo davvero interessante il tessuto musicale che viene a crearsi. Hai saputo creare (o ricreare) delle situazioni: ipotizziamo allora un’atmosfera cinematografica, immagini e musica fuoricampo. Un piano sequenza della madonna, insomma. Come comporresti questa ipotetica scena con la tua canzone in sottofondo?
“Una manifestazione. Due ragazzi che si amano tenendosi per mano. Primi piani sui loro volti e sfocato dietro il caos di una manifestazione, fuoco, digos e scoppi.
Ad certo un punto scende una lacrima sul loro viso, le mani si lasciano e guardandosi si trovano sempre più distanti. Portati via dal mondo circostante, con cattiveria ma in slow motion. Dandosi alla fine le spalle.
Alla fine una molotov nel cielo che infuocata esplode.
Non l’hanno voluto ma è la vita.”
Ultima domanda: canzone emotiva, ritornello spinto. Immaginati sul palco: alienazione con il pubblico con mani dietro alla schiena come Liam Gallagher o braccia aperte e abbraccio simbolico alla folla?
“Ho una canzone che reputo la sorella minore di questo brano e la canto a braccia aperte come se stessi abbracciando il pubblico.
Questa canzone è molto più intima e per questo cercherei di stare più vicino al pubblico sedendomi sul bordo del palco come se fossimo vicini a chiacchierare.
Ma alla fine… chiuderei gli occhi e lascerei andare le cose come decide il cuore. La musica è di tutti, questa è una storia che come hai detto han vissuto tutti, speriamo che questa canzone diventi di tutti.
La canteremo assieme.
Grazie da parte mia e di tutta la crew per queste domande davvero interessanti. E’ stato bello rispondere.
Grazie anche a chi avrà letto l’intervista fino a qui.
Ci vediamo presto, un abbraccione!”
Le Larve è un cantautore in grado di spiccare decisamente nel mercato attuale: irriverente, diretto, fresco e con un personalissimo sguardo sulla realtà. Jacopo Castagna (questo il suo nome di battesimo) ha pubblicato su etichetta Polydor/Universal Music il suo ultimo singolo Ho Visto la Madonna l’8 dicembre scorso, una data sicuramente non casuale. Nel brano Le Larve racconta storie di vita quotidiana con un linguaggio di grande impatto, ben supportato da sonorità in bilico fra l’indie pop e il punk rock.
Dopo i vari singoli usciti negli scorsi mesi, l’autore si conferma un nome da tenere d’occhio. Partendo da stilemi cantautorali molto contemporanei, esplora un sound che ricorda I tempi d’oro del pop punk, con una precisa attenzione alle parole e alla linea melodica.
Per capire meglio il suo originale approccio alla musica abbiamo fatto quattro chiacchiere con lui, parlando del nuovo pezzo e di molto altro. Ecco cosa ci ha raccontato.
Ciao! Vorrei partire parlando un po’ delle sonorità presenti nei tuoi brani e in particolare nell’ultimo singolo, in cui convivono cantautorato, indie pop e rock. Come lavori in fase di scrittura e produzione?
“In genere durante la fase di scrittura nella mia testa concepisco anche uno scheletro di arrangiamento, o comunque mi immagino il sound; in fase di pre-produzione lavoro con il mio braccio destro Stefano Maura e insieme arrangiamo il brano, dandoci prima dei riferimenti. Il nostro sound ha una linea di coerenza per quanto la proposta tra i brani sia differente.”
Mi ha colpito molto il testo: ironico e dissacrante, con numerose immagini prese dalla vita quotidiana e di immediato impatto. Cosa ti ha ispirato per scriverlo?
“Dentro i tre personaggi protagonisti di questa canzone ci siamo un po’ tutti, nello specifico poi si tratta di un riassunto di una serata realmente accaduta, romanzato, certo, ma non troppo.”
Anche il video non lascia indifferenti, ha un aspetto vintage e ben si sposa con le liriche: svelaci qualcosa di più sulla sua realizzazione.
“Ammetto di aver avuto ansia durante la scena della rapina, perché avevo il passamontagna e una scacciacani in una zona dove sarebbe stato plausibile potesse accadere davvero. Durante le riprese sono passate due volanti, per fortuna non mi hanno visto, si sarebbe creato disagio.”
Raccontaci un po’ qual è stato il tuo percorso artistico finora e cosa ti ha spinto a fare il cantautore.
“Ciò che mi ha spinto e che continuerà a spingermi a farlo, finché lo farò, è l’esigenza comunicativa. Ho iniziato a scrivere ormai otto anni fa e sin da subito ho iniziato ad esibirmi. Ciò che è cambiato in me, e quindi nella mia scrittura, è che prima vedevo la musica come un mezzo per arrivare agli altri, ora la vedo come un modo per tirarsi fuori.”
Ci sono degli ascolti che ti hanno particolarmente segnato?
“Certo, tra i miei album di riferimento Transformer di Lou Reed, Californication dei Red Hot Chili Peppers e in Italia, per esempio, Il padrone della festa di Silvestri, Fabi e Gazzè.”
Musicalmente parlando, come valuti il fermento attuale in Italia e come ti poni nei confronti della scena?
“Sono contento di vedere che sempre più gente si interessa alle nuove proposte; io per primo da sempre vado a cercare progetti inediti che possano piacermi. C’è bisogno di musica e, anche se ammetto che non tutto ciò che sento mi piace, penso che farla o ascoltarla non sia mai cosa sbagliata.”
Una curiosità: come hai scelto il tuo nome d’arte?
“L’ho scelto male.”
Sappiamo che, parallelamente alla musica, hai una carriera da doppiatore, ce ne parleresti?
“Sì, è un lavoro che ho iniziato a fare da bambino; sono uno di quelli che chiamano figli d’arte. Tutta la mia famiglia lavora nel doppiaggio, nel cinema e nel teatro da generazioni. E’ un lavoro che mi piace e che non penso che abbandonerò mai, comunque vada con la musica.”
Uniamo le tue passioni con una domanda un po’ particolare. Se dovessi scegliere un film o una serie tv per cui ti sarebbe piaciuto lavorare alla colonna sonora, quale ci diresti?
“Probabilmente Skins, una serie che ho doppiato e che mi è piaciuta molto.”
Per salutarci, cosa prevedono i tuoi progetti futuri?
Testacoda è un cantautore decisamente particolare, dallo stile musicale e comunicativo molto personale. Classe 1994, originario di Como e di base a Milano, da meno di un anno ha pubblicato il suo primo EP, Morire va di moda, e il 20 dicembre esce il suo nuovo singolo guasto.
L’amarezza dei testi è compensata da una musicalità calda e ben struttura, organica e piena. Chitarre, tastiere e programmazioni ritmiche si intrecciano molto bene supportando al meglio le liriche.
Anche in guasto non mancano tutti questi elementi, esemplari di una certa estetica essenziale e lo-fi tipica del suo approccio alla musica, molto spontaneo, diretto e sintetico, proprio come lui.
Abbiamo deciso, per l’occasione, di fare quattro chiacchiere con Testacoda per farci raccontare qualcosa su di lui, sul suo lavoro e sui suoi ascolti di riferimento.
Ciao! Innazitutto parto subito chiedendoti una curiosità: da cosa deriva il tuo nome d’arte?
“Il nome suonava bene e ho deciso di usarlo, è figo anche il fatto di poterlo ribaltare su Instagram.” (il suo nickname è @codatesta, NdR)
Ci parleresti un po’ del tuo nuovo singolo guasto? Come è nato e cosa vorresti esprimere?
“All’inizio pensavo di chiamarlo pastiglie ma sarebbe stato troppo banale. Parlo di Gesù Cristo che per qualche strano motivo si è guastato.”
Come avviene il tuo processo compositivo? Quali fasi lo compongono?
“Scrivo e trovo una melodia quasi nello stesso momento, poi arriva la base e il brano si completa.”
La produzione è molto essenziale e diretta, per certi versi anche lo-fi: come è avvenuto il lavoro in tal senso?
“Ah io chiedo quello che mi piacerebbe avere e se i ragazzi sono presi bene lo facciamo.”
Parlando del lato visivo, mi ha colpito molto l’artwork che porta anche la tua firma: ce lo racconti?
“Non saprei sinceramente cosa dire, sono andato a casa di Simone che si era offerto per fare la cover e ha avuto questa idea del bagno fuori servizio, abbiamo pasticciato e alla fine, su Photoshop, non so perché ma è arrivato il maialino di Minecraft.”
Facendo un piccolo salto all’indietro, cosa ti ha avvicinato alla musica e qual è stato il tuo percorso fin qui?
“Ho sempre ascoltato musica e non credo smetterò mai di farlo perché è l’unica passione insieme ai videogiochi che non si è mai placata.”
Hai degli ascolti che ti hanno influenzato nel corso della tua vita e che vorresti consigliarci?
“Vi consiglio alcuni dischi che a me fanno impazzire: Trash Island, Blonde, Warlord e Don’t Forget About Me Demos.”
E oggi, in questo nuovo panorama, chi apprezzi di più?
“Ora come ora sono tutto per ECCO2K, fatico a trovare qualcosa di innovativo in Italia e io per primo cerco di distaccarmi il più possibile dalle mie influenze (che non sono quelle che ho consigliato sopra) ma è molto difficile e come lo sento con me stesso così lo sento con gli altri.”
Per salutarci, cosa ci dobbiamo aspettare da te nel prossimo futuro?
“Nuove canzoni che cerco di rendere sempre diverse da quelle precedenti.”
Abbiamo incontrato I Botanici lo scorso sabato in occasione della loro data al Bradipop Club di Rimini: oltre a fotografare e goderci lo show, abbiamo avuto modo di fare quattro chiacchiere con la band.
Nome del nuovo disco?
Tutti: “Origami”
Quando è nato l’Ultimo disco?
Toni: “3 anni fa.” (ridono)
Gas: “Domani.”
Toni: “8 Ottobre 2019.”
Cosa porta questo album?
Toni: “Tanta miseria!” (risate)
Gas: “Sicuramente novità dal punto di vista della formazione, dal punto di vista dello stile e.. molto rock!”
Questo album ha cambiato il vostro genere?”
Il Ciani: “Vagamente si, dai! Ci sentiamo più integrati.”
Toni: “Ha cambiato le nostre vite radicalmente, possiamo dirlo.”
Da quanto sta durando questa promozione?”
Gas: “Questa é la sedicesima data da metà Ottobre.”
1 mese e mezzo, 2 mesi di live intensi, quindi…
Gas: “Speriamo sempre di più?!“ (guardando ammiccante al manager)
Avete prospettive più ampie?
Il Ciani: “Soldi, macchine e fighe!” (risate)
Toni: “Io voglio la casa, le macchine e le fighe!”
Gianluigi (Manager): “Praticamente diventano gli Snoop Dog italiani!”
Gas: “Sicuramente un inverno e una primavera in giro, e un’estate di profilo per quel che riguarda il rock: proviamo a fare più date possibili, a divertirci e a coinvolgere un pubblico sempre maggiore.”
C’è qualche data particolare che volete segnalare?
Gas: “La settimana prossima siamo a Carpi e Milano, il 19 e 20 (Dicembre, ndr).”
In quali locali?
Gas: “ATP Live Music Club di Carpi e ROCKET di Milano. Milano è una data che ci ha sempre portato bene e che ci teniamo a fare bene.”
In bocca al lupo per tutto
Gas: “Io vorrei far salutare Stefano…”
Stefano: “Ciao mamma!”
Alla prossima!
Tutti: “Ciao Vez!”
Intervista lampo e Foto: Michele Morri
Si ringrazia I Botanici, Garrincha Dischi e Bradipop Club
È uscito il 22 marzo scorso Poesia e Civiltà, il nuovo album di Giovanni Truppi per VirginRecords. Il cantautore, originario di Napoli ma romano di adozione, sta portando live il suo nuovo lavoro di undici pezzi per tutta l’Italia. Gli abbiamo fatto qualche domanda poco prima del suo concerto, il 6 dicembre all’Auditorium Parco della Musica di Roma.
Stasera suonerai qui all’Auditorium: com’è suonare in un posto del genere, con delle persone sedute? Come la vivi?
“Con molta paura (sorride). Ovviamente è bellissimo. Non è che io faccia rock ma comunque mi ritrovo a suonare molto spesso in dei contesti che in qualche modo hanno delle caratteristiche quantomeno poco rumorose. Il silenzio è bellissimo perché ti permette di fare il tipo di performance che ti eri immaginato ma allo stesso tempo è una grande lente di ingrandimento su quello che fai e ti dà più responsabilità.”
Con Poesia e civiltà vi ritrovate in sei sul palco. Questo sicuramente permette di riprodurre l’album in modo quasi del tutto fedele (tranne che per gli archi). Suonare con una band così allargata è una cosa che avresti sempre voluto oppure è stata una necessità propria dell’album?
“Durante la mia carriera ho fatto tutte le combinazioni: tanti live da solo, tanti in duo, tanti in trio e tanti in quartetto. Mi manca il quintetto. Comunque, era una necessità per questo disco ma in realtà adesso non mi immagino di suonare con meno persone perché mi trovo molto bene in questo complesso. Facendo il cantautore mi posso permettere di vestire le canzoni in tanti modi diversi e quindi è anche bello poter cambiare.”
Il 22 novembre è uscita Mia con Calcutta. Il brano anticipa un EP che uscirà a gennaio. Com’è nata la collaborazione con Calcutta e l’idea di un fumetto che accompagnasse la canzone?
“Sia Edoardo (Calcutta) sia Antonio Pronostico sono persone con cui c’era già un rapporto di stima. Ci conosciamo da tanto tempo e quindi è stato tutto piuttosto naturale.”
Il nuovo EP si chiamerà 5 e al suo interno ci saranno alcune canzoni che già conosciamo e che hai rivisitato insieme ad altri artisti ed altre completamente nuove. Come mai hai deciso di reinterpretare le tue canzoni con altri musicisti?
“Non saprei dirti… In realtà è nato tutto in maniera abbastanza spontanea. Io avevo questa idea e chiacchierando con la mia casa discografica abbiamo pensato di realizzarla prima dell’uscita di un album, di un nuovo vero album. Ci sono degli artisti con cui ero molto contento di poter fare delle cose e da qui è nato il tutto.”
Sai che Scomparire è stata cantata a X Factor da Eugenio, su proposta di Mara Maionchi. Come ti ha fatto sentire questa cosa?
“Mi ha fatto moltissimo piacere. Considerato l’ambito nel quale io mi muovo, che è molto lontano da X Factor, il fatto di poter interloquire con quella realtà mi ha fatto piacere. Quando ti rendi conto che riesci a parlare anche a persone che magari sulla carta sono diverse da te, credo che sia una cosa che dà soddisfazione.”
Credo di poter dire che ci sono artisti che danno più importanza al testo, altri alla musica e altri ancora che ricercano un equilibrio tra le due cose. Ti identifichi in una di queste categorie? Ci sono pezzi dove la musica per te ha più valore del testo, se così possiamo dire, o viceversa?
“Mi rendo conto che spesso ascoltando le mie cose possa sembrare che io dia una rilevanza maggiore al testo. Però penso che per far venire fuori il testo in un certo modo, sia fondamentale una musica di un certo tipo. Quindi non riesco proprio a immaginarmi una bilancia dove c’è un elemento che pesa di più e credo che questa sia la magia delle canzoni.”