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Tag: intervista

Tre Domande a: BORIANI

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

Molto probabilmente sceglierei Serotonina. È il brano che ha dato il via all’album, il primo pezzo scritto che ha definito il mio ultimo lavoro. Era un periodo particolare, in cui tiravo somme e cercavo di darmi delle risposte. Non coincideva con una mia fase particolarmente positiva, proprio no, provavo comunque a trovare delle motivazioni valide che mi dessero una spinta nel cercare di essere felice. Ecco questa canzone mi ha aiutato tantissimo. È una mezza autoanalisi che mi sono fatto! Scelgo lei perché è la canzone dove più mi sono messo a nudo, dove ho cercato di raccontarmi per quello che sono davvero, senza filtri o caricature.    

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Anziché tre parole, ne dico cinque: canzoni tristi che fanno sorridere. Nei miei brani racconto di guai, danni, cazzate e cose non andate proprio nel verso giusto, ma in tutto questo casino cerco sempre di trovare il lato positivo, una soluzione, una speranza, un’idea che riesca a farmi notare il bello anche quando le situazioni sono complicate. Insomma cerco sempre di sorridere alla fine della fiera e nonostante tutto. Non è una descrizione definitiva questa che ho dato perché non riguarda tutti brani dell’album appena uscito (BORIANI, NdR), ma solo alcune canzoni, però mi piace come definizione. La mia musica non è altro che il risultato di come mi vivo le cose, dove semplicemente cerco di raccontarmi senza dipingermi per come la gente vorrebbe o per come vorrei essere. Quando faccio musica, l’unica strada percorribile è quella della sincerità emotiva, per tutto il resto, lascio fare al caos e alla creatività. 

 

Progetti futuri?

La parola futuro mi suona strana, ma allo stesso tempo sta prendendo sempre più forma nella mia testa. Dopo gli ultimi anni, un ritorno al futuro era difficile da immaginare. Il nostro settore ne ha sofferto tantissimo e insieme a lui anche noi musicisti, talmente tanto da dover mettere in pausa il lavoro di una vita. Piano piano si inizia ad intravedere una certa fiducia, soprattutto in vista dell’estate. Ecco se devo parlare di progetti futuri, parlo di un futuro prossimo, molto vicino. Spero di fare più live possibili perché la verità è che il palco mi manca. L’idea è quella di girare pecchio quest’estate per ritrovare quel contatto col il pubblico. Oltre ai live, altra volontà è quella di tirare fuori anche roba nuova, così da tornare a bomba sul mio album appena uscito. Ho aspettato tre anni perché venisse pubblicato il mio disco e in questa attesa non ho fatto altro che scrivere pezzi nuovi. Ecco non vedo l’ora di farvi sapere, con le mie canzoni, tutto quello che mi è successo negli ultimi tempi.

Tre Domande a: problemidifase

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Sogno: sono molto legato ai sogni che faccio. Mi hanno sempre influenzato molto, nel bene e nel male. Spesso la dimensione che cerco di raggiungere quando scrivo e arrangio le canzoni è simile a quella dei sogni che faccio: astratta, a tratti incomprensibile. Questa mia ricerca, nell’EP di problemidifase RISTORANTE / ALBERGO / CROCE si palesa nel brano Carmine ma soprattutto in Mascara.
Nostalgia: non credo che per me ci sia un sentimento più forte e coinvolgente della nostalgia. A volte è logorante, molto spesso dà dipendenza, in generale adoro sprofondarci. Che sia lei a darmi l’ispirazione per i miei brani o che sia solo un colore che mi piace usare, è presente in quasi ogni cosa che faccio per il progetto problemidifase.
Cura: questa parola ha un doppio significato per me, perchè indica sia la mia ricerca maniacale per la cura e la perfezione dei suoni (che per fortuna condivido con il mio produttore Cristian Volpato), sia il fatto che per me scrivere è sempre stato parte della cura per il malessere interiore. Spero che queste canzoni possano anche essere parte del percorso di altre persone, che possano anche aiutare a guarire gli altri.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

Tra le canzoni di RISTORANTE / ALBERGO/ CROCE sceglierei Carmine, perchè è quella che rappresenta al meglio la sonorità che vorrei portare avanti con il progetto e le cose che arriveranno in futuro. 

 

C’è un evento, un festival in particolare a cui ti piacerebbe partecipare?

Per quanto riguarda i festival mi piace molto il MI AMI, anche se sognando in grande direi Home Festival o I-Days. Sognando ancora più in grande, suonare al Red Rocks (Amphitheatre, in Colorado USA, NdR) deve essere un’esperienza incredibile.

Pulgasari, il festival mostro contro le angherie del potere (culturale)

Qualcosa si muove, lentamente e con tutta la prudenza del caso, ma è innegabile che all’orizzonte via sia un ritorno alla normalità. I grandi festival hanno annunciato da mesi le line up, i grandi nomi roboanti pian piano tornando ad animare i vari main stage, ma parallelamente anche le realtà minori (per una mera questione numerica – ed economica, OK) stanno tentando di rimettere la testa fuori.
Tra i vari annunci degli ultimi mesi ci ha fatto piacere ritrovare, dopo alcuni anni di stop forzato, Pulgasari, festival trevigiano organizzato da Three Blackbirds che abbraccia trasversalmente diverse discipline e che il prossimo 7 Maggio, all’interno del fidato CSO Django, proporrà un programma denso e di indubbia qualità.
Abbiamo raggiunto Stefano Pettenon, uno degli organizzatori, per farci raccontare qualcosa di più.Ciao Stefano, intanto bentrovato e partirei subito chiedendoti quando nasce Pulgasari.

“Pulgasari nasce nel 2018 con la prima edizione, che per inciso andò decisamente bene in quanto superammo abbondantemente, con molta sorpresa, i mille ingressi nella giornata, con l’intento di unire alcune realtà del territorio. All’interno del festival trovano spazio realtà e arti tra le più diverse. Per dire, continua la collaborazione con Treviso Comic Book Festival, che presenterà due novità, The Notorius B.I.G. – Il Cielo È il Limite e Ligabue – Sogni di Rock’n’Roll e proporrà un mercato dei fumetti e autoproduzioni. Quest’anno aggiungiamo o meglio dire ritorna il meeting delle etichette indipendenti, principalmente venete, con un un’unica eccezione che è i Dischi di Plastica, l’etichetta de I Camillas, perchè avremo gradito ospite Vittorio Ondedei de I Camillas che viene a presentare il libro I Camillas, che Storia, e si esibirà poi in concerto chitarra e voce.”

 

Visto che ne stiamo parlando quali saranno gli eventi live in programma?

“Allora, nel pomeriggio si esibiranno Bad Pritt, Vittorio Ondedei, poi Toni Bruna e in chiusura i Bachi da Pietra. Il programma comunque come dicevo è assolutamente trasversale: avremo un mercato del vino naturale, un mercatino del riuso, ci sarà poi uno spazio artistico, dove esibiranno la propria arte nomi come Eeviac, autore delle copertine di Iosonouncane, Zu, Xiu Xiu, Bologna Violenta per dirne alcuni, Antonio Motta che esporrà le sue maschere e Laura Marini, specializzata in cianotipie. La principale novità di quest’edizione comunque è il torneo di Risiko. In tutta sincerità confesso che non avevo la minima idea che la cosa fosse così estesa e partecipata. L’iscrizione è ovviamente aperta a tutti.”

 

Prima di chiudere te lo devo chiedere: perchè Pulgasari?

Pulgasari è il titolo di un film di un regista nel quale un mostro (una sorta di Godzilla presente nella cultura nord coreana) aiuta la popolazione a ribellarsi alle angherie del potere. La popolarità del film è dovuta principalmente alle vicende legate al regista ed alla moglie, fatti rapire dall’allora Ministro della Propaganda nord coreana (Kim Jong-Il, figlio di Kim II-Sung), per realizzare alcuni lungometraggi di propaganda, tra i quali proprio Pulgasari, ritenuto il capolavoro di Shin Sangok. Ci piaceva l’immagine di questo villaggio nel quale cultura e le arti intervengono a salvare il popolo da un periodo nefasto, culturalmente parlando.”

 

Beh, direi che l’immagine rende ampiamente l’idea. Ascolta, e come Three Blackbirds siete impegnati parallelamente anche in altro?

“Allora sì, stiamo riprendendo in mano Arezzo Wave, e ti dirò che siamo rimasti molto sorpresi perchè abbiamo avuto davvero molte iscrizioni, segno che si spera, dopo alcuni anni di flessione, non dovuta solo al COVID, i giovani stanno riprendendo in mano gli strumenti e sta tornando la voglia di suonare “in saletta”. Chissà che non siano anche questi nuovi piccoli segnali di ripresa. Questa volta definitiva.”

 

Alberto Adustini

Tre Domande a: Marvin Tramp

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perchè?

Sicuramente Tutto il Mondo È una Bugia, è una canzone a cui sono particolarmente legato perché esprime a pieno i sentimenti che provo ora che i trent’anni iniziano a farsi vedere all’orizzonte. C’è la paura di invecchiare, di smettere di sognare e di comportarmi come quando ero un bambino o un adolescente spensierato e arrabbiato con tutto il mondo. C’è la preoccupazione di non innamorarsi più come una volta, delle cose, della vita e delle relazioni, che prima erano solo una genuina conquista d’amore, spensierata e sempre nuova, mentre crescendo tutto diventa sempre più una responsabilità verso gli altri e verso se stessi, qualcosa da costruire con attenzione e fatica, senza potersi più permettere di rischiare, esagerare e sbagliare, perché tutto ciò che non funziona si trasforma in una ferita difficile da sanare. Questa canzone mi ricorda sempre di cercare di vivere come allora, con la consapevolezza acquisita negli anni ma allo stesso tempo con il coraggio e la spensieratezza di un bambino, che ogni giorno vive una nuova scoperta.

 

Che messaggio vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Chiaramente ogni canzone racchiude un messaggio a sé. Tuttavia diciamo che il messaggio che provo a trasmettere in ogni pezzo che scrivo è un messaggio di positività nascosto tra sonorità e vibrazioni melanconiche. Mi piace molto descrivere emozioni “in bilico”, ovvero a metà tra un sapore triste ed un retrogusto felice, dove si intende che è presente una certa nostalgia che tuttavia termina con un riscontro positivo, quasi ad affermare che tutto fa parte della vita e tutto può essere visto come qualcosa di positivo, anche i momenti difficili. Mi diverte poi il fatto che, a seconda del momento in cui ascolto una mia canzone, a volte la trovo particolarmente struggente e altre particolarmente rassicurante.

 

Progetti futuri?

C’è già un progetto nel prossimo futuro, tocca aspettare ancora poco. Per quel che sarà dopo, ancora non lo so, ogni volta che ho provato a disegnare un percorso da seguire è puntualmente arrivato un acquazzone a sbavare tutto. Mi sento abbastanza sereno nel dire “Vediamo cosa succederà”. Questo è un periodo della mia vita in cui prendo le cose come vengono, senza troppe aspettative, seguendo un po’ il vento delle opportunità. Certo ho parecchi sogni nel cassetto, sia a livello musicale che lavorativo, e questo è buono perché i sogni mi aiutano ad alimentare questo vento. Se devo parlare più nel concreto, diciamo che non ho mia desiderato diventare un artista famoso o qualcosa del genere, ma quello che mi piacerebbe davvero è poter coniugare il mondo della musica col lavoro che faccio in ambiente sociale, magari aiutando, attraverso questa incredibile forma d’arte, i ragazzini con cui lavoro, dandogli la possibilità di esprimersi e farsi sentire.

Tre Domande a: Clio and Maurice

Come state vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

Nel corso di questi anni, ormai completi, di pandemia abbiamo attraversato fasi diverse tra loro: l’interruzione forzata dei primi mesi del 2020 ci ha permesso in realtà di focalizzarci sullo studio dei nostri strumenti e sulla scrittura, ed è stato un periodo creativamente molto fertile. Il momento in assoluto più difficile è stato l’inverno e tutta la prima parte del 2021, quando ci siamo ritrovati per molti mesi consecutivi senza poterci esibire, con conseguenze sia economiche che emotive impegnative. Ora per la prima volta a distanza di due anni ci sentiamo di poter tornare a fare progetti sul medio periodo.

 

Come e quando è nato questo progetto?

Il progetto nasce circa tre anni fa: ci conoscevamo già da diversi anni, ma non avevamo mai provato a scrivere qualcosa insieme. Già ai primi tentativi eravamo molto contenti dei risultati e i feedback erano buoni, nonostante la particolarità della nostra formazione: malgrado di questo ultimo periodo siamo ancora convinti di essere su una buona strada.

 

Progetti futuri? 

Abbiamo finito di lavorare al nostro primo album e stiamo organizzando un tour estivo in Italia e uno autunnale in Europa.

Dove sono finiti tutti? Lo chiediamo a The Bastard Sons of Dioniso

The Bastard Sons of Dioniso sono una band della Valsugana che crede nel rock cantato in italiano, che non si adatta alle mode per seguire un proprio percorso, ovunque esso porti, anche se preferiscono finire sul palco. Credono che un disco non suonato dal vivo sia solo un disco a metà, ed è per questo che attendiamo di assistere a un loro live per ascoltare dal vivo il loro nuovo progetto Dove Sono Finiti Tutti?, ma, nel frattempo, li abbiamo intervistati per saperne di più.

 

Sicuramente è una domanda che vi hanno fatto molte volte, ma i nostri lettori sono curiosi di sapere come vi siete conosciuti e come nasce il nome della vostra band

“Noi ci siamo conosciuti alle scuole superiori. La scelta della nostra specializzazione ha fatto si che ci trovassimo in classe assieme. Conoscendoci abbiamo scoperto di avere più passioni in comune: la voglia di fare musica nostra, e la voglia di far festa. Musica e festa vanno a braccetto. Così abbiamo continuato ad espandere il nostro orizzonte verso posti sempre più lontani. Il nome nasce da un idea del gruppo che Jacopo aveva in precedenza. Un nome che rappresentava in pieno la dualità della nostra comunicazione. Una più diretta ed una più profonda dove lasciare lo spazio all’ascoltatore per indagare.”

 

Fare rock cantando in italiano è sempre un argomento divisivo, soprattutto per chi considera la nostra lingua non altrettanto agile ed efficace come l’inglese per questo genere musicale: perché avete scelto di seguire questo percorso? 

“Abbiamo scelto di cantare in italiano perché è la nostra lingua. Con questa possiamo esprimerci con migliore sensibilità e consapevolezza. L’italiano è una lingua adatta alla musica e questa ci regala sempre nuove possibilità di interpretazione che con l’inglese saremmo impossibilitati a manipolare per nostra ignoranza. Ci sembra che la concezione del Rock in inglese sia un retaggio della guerra fredda, della società nella quale abbiamo vissuto, volenti o nolenti, nella nostra gioventù.”

 

Rispetto a Cambogia e altri album precedenti, il vostro nuovo progetto Dove Sono Finiti Tutti? ha un titolo che racchiude un po’ la sensazione di spaesamento dell’essere umano che caratterizza questo periodo storico di pandemia e guerre. Cosa vi ispirato, esattamente?

“La domanda ci è sorta spontanea. Con una nota di autoironia che non poteva mancare. La risposta la troveremo nei Live. Non vedevamo l’ora di ricominciare e di darci una risposta.”

 

Sirene oppure Tali e Squali sono canzoni dove affermate con spietata schiettezza la responsabilità dell’uomo nel decidere il suo destino. Potete raccontarci di più sulle canzoni che compongono l’album e su come sono nate?

“Ogni canzone ha una genesi che differisce dalle altre. Ma lo sguardo verso noi stessi è il fil rouge del disco. Non per metterci in discussione, ma semplicemente per capirci. Ti Piace o No? è tratta da una nostra idea musicale dei primi 2000. Restiamo Umani invece è la canzone più giovane. Abbiamo collaborato con diversi autori che ci hanno affiancato nel lavoro di scrittura negli ultimi anni: Antonio Fiabane, Pietro Fiabane, Emanuele Lapiana, Oscar De Bertoldi. Sono presenti sul dico vari musicisti: Clemente Ferrari (synth, hammond, sequencer), Tommaso Pedrinolli (percussioni), Luca Frisanco (flicorno), Massimo Costa (tromba), Alessandro Serioli (synth, tastiere) che si sono innesti nel nostro sound, approfittando del tempo bonus dato dallo stop dei concerti nell’ultimo (anno, NdR), ed hanno saputo giocare con la dinamica di brano in brano.”

 

the bastard sons of dioniso interview

 

Restiamo Umani ha un titolo che può essere letto in più modi: come un imperativo necessario in questo momento storico, un appello a riscoprire la nostra umanità oppure la constatazione che siamo semplicemente esseri umani con i nostri pregi e difetti. Quale delle tre ha ispirato la canzone?

“Tutte. Noi non abbiamo la pretesa di farci capire. Il gioco è lasciare aperte più letture possibili e, in base alla singolarità dell’esperienza umana, l’ascoltatore la può fare sua come meglio crede. Noi esseri umani abbiamo la presunzione di poterci comprendere con il linguaggio, ma per ognuno ogni parola evoca sentimenti differenti.”

 

Se poteste scegliere di creare un progetto con un artista, nazionale o internazionale, con chi vi piacerebbe collaborare? 

“Le nostre collaborazioni nascono dall’amicizia. Solamente le esperienze ed il percorso che faremo potranno dirci quali saranno le future collaborazioni. Stimiamo artisti italiani ed esteri ma da li a pensare di collaborare la distanza è lunga, un po’ per timidezza ed un po’ per l’indole di volerci sempre arrangiare.”

 

Siete un trio, siete in attività da diciannove anni, avete pubblicato sette album e avete conquistato un secondo posto a X Factor 2009, oltre ad avere tenuto svariati concerti in tutta la penisola. I vostri numeri ci sono e mostrano l’esperienza maturata in questi anni. Cosa consigliereste a un giovane artista che si affaccia nel panorama musicale contemporaneo in fase di cambiamento?

“Il primo consiglio è di trovarsi dei buoni amici. Fare musica significa condividere una passione che ti porta a trovare il lato migliore dell’uomo, quello legato al divertimento ed allo stare assieme, alla casualità del percorso in questo presente incerto. Il secondo consiglio è di divertirsi.”

 

Progetti per il futuro?

“Per ora la fase progettuale lascerà spazio al nostro piacere più grande, il live. Ma non possiamo negare che ci siano già molte canzoni che non aspettano altro che il momento giusto per poter vedere la luce.”

 

Grazie a The Bastard Sons of Dioniso e a Big Time per la disponibilità.

 

Alma Marlia
Foto S. Sadocco e S. Sassudelli

Tre Domande a: Samuele Proto

Come e quando è nato questo progetto?

Il mio progetto artistico è nato molto presto. Quasi fin da subito, quando avevo 16/17 anni ho avuto la fortuna di lavorare in studi di registrazione affermati al fianco di musicisti e produttori professionisti. Da queste mie esperienze mi sono portato dietro una certa mentalità legata alla qualità strutturale e di realizzazione delle canzoni.
Il progetto nasce proprio da una base del genere, è un insieme di canzoni pensato fin dal principio. Volevo dare un concetto generale a tutto il disco e l’uscita del primo singolo Fragili Rose rappresenta bene il sound del disco. Strumenti suonati, musicisti, arrangiamento ricercato. Tutte componenti che sono state considerate e organizzate fin da subito, appena finita la fase di scrittura delle canzoni. In più il desiderio di realizzare un progetto che potesse avere ancora più valore se portato live.
In termini invece temporali, la scrittura del disco è iniziata ad inizio della prima pandemia. Da questo punto di vista il tempo dilatato dovuto purtroppo alla situazione che abbiamo vissuto mi ha portato ad avere un po’ di tempo per pensare, riflettere ed elaborare nuove idee. Da quel punto in poi abbiamo impiegato quasi due anni per arrivare in fondo al lavoro. Avevo in testa un sound preciso che richiedeva una scelta precisa dei musicisti e addetti. Una grande famiglia che piano piano si è unita per creare un progetto che spero con tutto il cuore possa piacere. 

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ascolta?

Mi piacerebbe tanto che Fragili Rose rappresentasse per le persone che l’ascoltano una piacevole scoperta. Non solo verso la mia musica ma soprattutto verso un concetto di musica che accomuna tanti artisti come me. Spesso ci si lamenta della mancanza di contenuto nelle canzoni o nell’arte in generale dei nostri tempi. Mai però ci si domanda se questa mancanza di contenuto sia dovuta agli artisti o alla possibilità degli artisti di fornire contenuti.
Io sono convinto che le persone che ascoltano musica vogliano e ricerchino contenuti, che siano lirici, musicali, artistici in generale.
La mia speranza è quella di riuscire a trasmettere una tipologia di lavoro forse anacronistico ma che venga assimilato e accettato nei tempi che viviamo.
Come artista penso che per trasmettere qualcosa ci sia bisogno di tempo e banalmente la durata radiofonica dei pezzi molto spesso non ti permette di dire niente.
La chiave sono convinto che sia nella capacità di realizzare una canzone che abbia tutto il tempo di dire quello che deve dire, ma realizzata e costruita in modo tale da non percepirla come opera complessa ma come canzone leggera, capace di essere cantata da chiunque.
Se riuscirò a trasmettere questa cosa agli ascoltatori sarò soddisfatto dal mio lavoro.

 

C’è un evento, un festival in particolare a cui ti piacerebbe partecipare?

La mia musica ha da sempre contenuto grandissime influenze Blues. Da musicista, prima che da cantautore il sogno nel cassetto rimarrà sempre quello di prendere parte ad una rassegna dedicata proprio al Blues.
Non nego che il desiderio più grande sia quello di partecipare al Crossroads Blues festival organizzato da Eric Clapton. A memoria, credo che solo Pino Daniele, come artista italiano abbia preso parte a quel concerto. Questo mi fa pensare che minime opportunità possano esserci anche per artisti nostrani.
Detto questo, vivendo a Firenze, apprezzo molto l’importanza e la storia del Pistoia Blues Festival, il modo in cui da sempre siano riusciti a dare valore a questo genere in una città così caratteristica mi affascina.
Per concludere la risposta direi appunto che se proprio avessi l’opportunità di partecipare ad un importante festival sicuramente sceglierei un concerto con respiro internazionale dove al centro dell’attenzione possano esserci musica e vibrazioni, al di là della barriera linguistica.

Tre Domande a: Nyco Ferrari

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Intensità, perché amo tutto ciò che è denso, e vivo, e spesso, e tattile, e sgargiante, e vibrante, e vero, con una storia da raccontare.
Sincerità, perché se una canzone, o una performance, o qualsiasi prodotto artistico, non sorge da una necessità intrinseca ed esistenziale, che non sia la semplice voglia di fare qualcosa, non sia una forma prima di un contenuto (a meno che la forma stessa non sia l’ossessione), allora è solo brodaglia, qualcosa di annacquato, acquerello, superficiale, che è il contrario dell’intensità. Poi sono convinto che l’arte sia un vero mezzo terapeutico per l’essere umano, e se la terapia non è viscerale è solo pantomima.
Compagnia, perché spero che la mia musica possa essere un modo di affrontare la vita, è una mano tesa a chi la ascolta che invita a tirarsi su, o a riflettere, o a vivere un certo momento con una certa intensità energetica. Le mie canzoni dicono “Ti accompagno io, se vuoi”.

 

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

Lo dico? La Rappresentante di Lista. Li seguo da quando non facevano 100 paganti ai concerti, ho anche aperto un loro live al Goganga a Milano, anni fa, e mi hanno sempre comunicato esattamente quell’intensità di cui parlavamo poco fa. Mi sento molto affine al loro modo di fare e di intendere la musica, soprattutto nella loro dimensione live, che deriva direttamente dalla loro esperienza con il teatro. Lavorare con loro sarebbe certamente la collaborazione che rispetterebbe più di tutto i miei parametri.

 

C’è un evento, un festival in particolare a cui ti piacerebbe partecipare?

Ce ne sono eccome. Mi piacerebbe molto partecipare al Miami, o all’Ortigia Sound System, occasioni in cui si crea una sinergia fortissima con tutte le spinte della musica emergente, all’incrocio tra impegno alla comunicazione con un pubblico maggiore, e contemporaneamente lo sforzo di rimanere il più fedeli possibili alla propria musica. Situazioni in cui l’interesse degli artisti incontra a pieno l’interesse del pubblico. Se dovessi proporre un live set un po’ più sperimentale, invece, amerei suonare a Terraforma, in un contesto un po’ più lontano dal day-to-day e più vicino ad un’esperienza di vita.

Tre Domande a: Malvax

Come e quando è nato questo progetto?

I Malvax sono Lorenzo Morandi (voce), Francesco Ferrari (piano e synth), Francesco Lelli (chitarra) e Giacomo Corsini (Batteria) e nascono a Pavullo nel Frignano (Modena) nel 2014, quando Lorenzo e Giacomo, dopo aver suonato insieme ad un saggio di fine anno, decidono di mettere insieme una cover band. A loro si uniranno, nei due anni successivi, anche Francesco Lelli e Francesco Ferrari, e la band inizierà dal 2016 a comporre pezzi inediti. Il vero e proprio progetto Malvax nascerà poi, ufficialmente, nel 2018: abbiamo scelto il nome Malvax prendendo ispirazione da una pianta, la Malva, che da sempre viene utilizzata come antinfiammatorio, e aggiungendo la x per farlo sembrare il nome di un medicinale; un po’ per dire col nostro nome che la musica può e deve essere un rimedio nei momenti meno belli, e che può aiutare a elaborare emozioni ed esperienze nel modo più sano.

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui vi ispirate per i vostri pezzi?

Le nostre influenze sono estremamente varie, siamo quattro ragazzi molto diversi e la cosa si rispecchia anche nei gusti musicali; nonostante ciò abbiamo sempre cercato di fare tesoro di queste differenze, cercando sempre di ampliare gli orizzonti, mescolare generi, influenze e suoni. In ambito nazionale, gli artisti che hanno avuto maggiore influenza su di noi sono sicuramente le grandi figure cantautorali del passato e del presente (Dalla, Guccini, De André, De Gregori e Cremonini su tutti), ma negli ultimi anni hanno avuto un grande impatto anche tanti artisti del panorama indie (Calcutta, Gazzelle, Pinguini Tattici Nucleari, ecc…). Anche la musica internazionale ha lasciato una grande impronta su di noi, soprattutto per quanto riguarda il pop-rock inglese, dal Britpop degli anni ’90 (Oasis, Radiohead) ad artisti contemporanei, Coldplay su tutti.

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Sicuramente il nostro modo di fare musica non ha nessuna pretesa morale o filosofica, non abbiamo mai cercato nulla di tutto ciò. La nostra musica si limita a raccontare quello che siamo, quello che viviamo, raccontiamo la nostra vita con la speranza che qualcuno, ascoltandola, ci ritrovi parte del suo mondo, che anche solo un’immagine, una frase o una parola lo faccia sentire parte di qualcosa; siamo convinti che la musica sia il miglior mezzo in assoluto per condividere qualcosa, per sentirci meno soli.

Tre Domande a: Esposito

Come e quando è nato questo progetto?

Ciao, io sono Esposito e il mio progetto nasce tantissimi anni fa, quando da ragazzino ho iniziato a scrivere per gioco le prime canzoni e dopo un po’ di anni ho colto l’occasione di suonare in molti locali della penisola italiana (non per forza i migliori). All’inizio suonavo principalmente cover e ogni tanto mi esibivo in qualche mia canzone senza dirlo e sempre più spesso il pubblico ha iniziato a chiedere informazioni riguardo quei pezzi. È questa la ragione che mi ha spinto a pensare di voler fare un mio disco e, nel 2017, è uscito È più comodo se dormi da me: è stato questo il mio debutto discografico. 

 

Progetti futuri?

Al momento mi sto concentrando sul mio ultimo singolo, I giorni, uscito il primo aprile e il mio prossimo EP, in uscita dopo l’estate.
Nel frattempo però non mi sono fermato e sto scrivendo cose nuove: non so ancora cosa diventeranno nè se usciranno. Oltre alla fase di scrittura di un nuovo brano mi piace quella di produzione, quindi mi sto concentrando anche su quello. Spero di non smettere mai di pubblicare nuova musica, quando pubblico qualcosa di nuovo, è un po’ come se fosse il mio compleanno, forse anche meglio!

 

C’è un evento, un festival in particolare a cui ti piacerebbe partecipare?

Mi piacerebbe suonare al Primavera Sound Festival di Barcellona, un po’ perché è una città che adoro e un po’ perché mi piacerebbe portare la mia musica oltre confine. L’ultima volta che ci sono stato avevo 17 anni e già iniziavo a scrivere le mie prime canzoni, mi aveva colpito la solarità delle persone e la bellezza della città. Ho pensato spesso nel corso degli anni di trasferirmi in Spagna ma alla fine sono rimasto sempre a Milano dove vivo da ormai 15 anni.
Restando in Italia ti direi il MI AMI (festival a Milano), mi piacerebbe accadesse prima o poi. Lascio questo pensiero fluttuare nel cosmo.

Tre Domande a: Ilmostrodellaband

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

È una cosa molto importante arrivare agli altri quando si scrive musica: quando compongo un brano però non penso mai a chi lo ascolterà, mi soffermo solo sulle mie emozioni, le voglio in qualche modo buttare fuori. Quando poi verrò ascoltato spero sempre di essere apprezzato sia musicalmente che nella scrittura, anche se spesso vengono date altre interpretazioni che trovo molto preziose.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

Sicuramente sceglierei 38, fa parte del mio EP L’abbandono, parla di me, della mia vita, di chi penso di essere diventato. Faccio il punto della situazione, mi spoglio delle mie paure, delle mie incertezze e prendo in mano finalmente la mia vita.

 

Progetti futuri?

Prima di tutto vorrei portare il mio EP L’abbandono un po’ in giro, suonarlo il più possibile, poi mi dedicherò al mio nuovo album: ho scritto una decina di brani negli ultimi due anni e non vedo l’ ora di poterli trasformare ulteriormente in modo da farmi crescere a livello artistico. Credo cambierò nuovamente registro, non mi piace ripetermi.

Tre Domande a: Emanuele Colandrea

Come stai vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

Li sto vivendo provando ad esorcizzare il tutto, provando ad analizzare con attenzione ma anche con un po’ di complicata leggerezza il momento surreale che si è presentato all’improvviso alle porte di tutti.
Senza la socialità siamo andati tutti in confusione e abbiamo cominciato a sperare, provando a rendere utile questa attesa. Io con Belli Dritti sulla Schiena, il mio nuovo album, ho provato proprio a fare questo, ad aspettare come mi sembrava giusto aspettare. Registrare questo disco è stato il mio modo di vivere questi tempi, di mettere in pratica la mia concezione di speranza.

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Dovendo riassumere la musica che faccio in tre parole sceglierei sicuramente onesta, rotolante e viaggiatrice .
Dico onesta perché essere onesto è quello che provo a fare quando scrivo una canzone, quando la registro e quando la suono ai concerti.  Dico rotolante perché quando tiro giù i testi provo a farli rotolare, a prescindere dal significato delle parole, devono darti la sensazione di camminare con qualcuno e di farlo muovendo gli stessi passi nello stesso momento. Ed infine dico viaggiatrice, ma viaggiatrice nel tempo, perché spero sempre che la musica che scrivo prescinda appunto dal tempo e dalle situazioni, un po’ come fanno le piante sempreverdi.

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

A chi mi ascolta vorrei riuscire semplicemente a smuovere sempre un qualcosa, a dare uno stimolo che lo spinga a partire per una tangente qualsiasi, una tangente che non abbia per forza a che fare con quello che sto dicendo nella canzone. Le canzoni sono uno strumento affascinante proprio per questo, perché a seconda del posto, del momento, di chi le ascolta, a prescindere da me che le scrivo, loro si prendono lo spazio che vogliono ed entrano nelle quotidianità degli altri in mille modi diversi. Una delle cose che mi piace di più è sentire proprio i racconti di chi le ha ascoltate, venire a conoscenza dei significati che si sono guadagnate, che quasi sempre sono più interessanti e romantici di quelli che gli ho dato io.

 

Foto di copertina: Sara Martini