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Tag: tre domande

Tre Domande a: Riccardo Morandini

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Il filo conduttore di questo disco è “ciò che alleggerisce il peso dell’Io”. Senza atteggiamenti profetici da decalogo, è una umile condivisione di pensieri e sono felice se qualcuno può trovarvi uno stimolo o anche solo apprezzare la forma e le immagini con cui vengono comunicati. Tra l’altro il primo a cui suggerisco gli espedienti anti-egoistici contenuti nel disco sono io stesso.
Per quanto riguarda la parte musicale, vorrei che chi ascolta si sentisse pienamente calato nelle atmosfere che ho cercato di descrivere nei brani, siano esse ipnotiche, tribali, eteree o marziali. Immagino me e l’ascoltatore come due vasi comunicanti e la musica come quel liquido onirico fatto di impressioni, sensazioni, suggestioni, che li mette in collegamento.

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Densa: tendo a scrivere degli arrangiamenti molto fitti e amo i brani in cui ci sono mille dettagli da notare, che possono sorprenderti ancora dopo molti ascolti. Mi piacciono le progressioni di accordi e le melodie articolate. Il tutto cercando di sfuggire ai pericoli dell’eccesso e dell’involuzione.
Eclettica: nella mia musica si trovano molteplici ispirazioni anche molto distanti tra loro: ritmi samba, bordoni psichedelici, chitarre col fuzz schiettamente rock, contrappunti classicheggianti, armonie jazz, poliritmie afro-cubane…
Sognante: le tematiche sono spesso astratte e lontane dalla realtà concreta. A volte i testi sono un susseguirsi di immagini in un flusso di coscienza. Apprezzo molto le atmosfere oniriche che fanno viaggiare l’immaginazione. 

 

Quanto puntati sui social per far conoscere il tuo lavoro?

Sui social faccio il minimo indispensabile. Mi piace molto curare l’estetica del mio profilo ma la continua auto-promozione ed esposizione non fa per me. Me ne dispiaccio perché aiuterebbe ad avere più audience e più riconoscimento, ma vorrà dire che mi accontenterò di una crescita più lenta e di un pubblico più limitato. Piuttosto preferisco promuovermi con l’attività live: mi sento più a mio agio su un palco che a fare delle storie su Instagram.

Tre Domande a: Lomii

Come vi immaginate il vostro primo concerto live post pandemia?

Il primo concerto post-pandemia lo stiamo preparando, sarà il 7 maggio al teatro Petrella di Longiano. Un posto magico del nostro territorio Romagnolo, è stato casa del primo nostro concerto all’interno di un teatro nel 2019.
Immaginarlo è difficile, al momento ci sembra ancora un sogno! Dopo uno stop forzato così lungo, utilizzato per la produzione e registrazione del nostro primo album We Are an Island, provare a pensare di salire su un palco, in quell’atmosfera soprattutto, è qualcosa di lontano, ma allo stesso tempo di emozionante, pauroso ma con una virgola di conforto come a ricordarci che siamo ancora qua, che c’è speranza per la ripartenza della musica e di tutto il settore dello spettacolo. Crediamo che ci sia bisogno di stare insieme, di aggregarsi di nuovo, di tornare “in mezzo ai vivi”.

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Il progetto Lomii che curiamo e coltiviamo da cinque anni, fino ad ora è stata la storia delle nostre rispettive crescite personali, individuali e condivise. Il folk è per noi il linguaggio migliore per raccontare delle storie, dove i protagonisti possiamo essere noi, come potrebbe essere chiunque altro. Canzoni che parlano all’altro, appunto, ma che spesso si può confondere con un parlare a se stessi. Con i nostri testi e la nostra musica abbiamo sempre cercato di parlare di esperienze reali, di legami, di rottura e di riparazione, di confusione e di risoluzione, di separazione e ricongiunzione, provando però a creare un paesaggio che sia condiviso e condivisibile da tutti, non qualcosa di lontano e poco fruibile. In fondo, sicuramente su vari piani, la felicità, la tristezza, l’amore, la depressione, la paura, il coraggio, sono tutte emozioni che nel corso della vita proveremo o abbiamo già provato. Perchè non raccontarsele?

 

C’è un evento, un festival in particolare a cui vi piacerebbe partecipare?

Sicuramente una visita allo Sziget per un set sul palco Europeo non sarebbe male. Oppure un’apertura nel main stage del Glastonbury Festival.
Nel nostro cuore però c’è il Coachella… chi non vorrebbe suonare al Coachella?

Tre Domande a: HLFMN

Come e quando è nato questo progetto?

Dopo aver suonato o cantato in alcune band locali ho iniziato il mio cosiddetto progetto solista nel 2014 perché stavo cercando un modo per concretizzare la mia visione e le mie idee nel modo più personale e autentico possibile: amo mescolare strumenti antichi e sonorità di varie culture intorno al mondo con le nuove tendenze della musica elettronica odierna; mi sono sempre interessato di musica tradizionale, indigena oppure sacra e ho cercato un modo per integrarla nel mio processo creativo… così con HLFMN mi diverto a guardare in due direzioni apparentemente opposte: il passato ancestrale e sacro dell’antica saggezza e la spinta festosa, divertente e progressista della musica elettronica moderna. Penso che questa filosofia (se così la vogliamo chiamare) rappresenti anche me come persona…

 

Cosa vorreste far arrivare a chi ti ascolta?

Quello che vorrei avvenisse nell’ascoltatore è un viaggio attraverso il tempo; mi piace l’idea che la mia musica possa risvegliare “memorie ataviche” (magari registrate nel nostro codice genetico) di un tempo in cui il rituale sacro era parte integrante della vita quotidiana, e la musica ne era complemento essenziale.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

Sceglierei Hades, la terza traccia del mio nuovo album, perché incarna perfettamente le mie influenze artistiche principali: ci sono intermezzi ritualeggianti con canti sacri e percussioni antiche da una parte, e beat elettronici con bassi enormi dall’altra.

Tre Domande a: BORIANI

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

Molto probabilmente sceglierei Serotonina. È il brano che ha dato il via all’album, il primo pezzo scritto che ha definito il mio ultimo lavoro. Era un periodo particolare, in cui tiravo somme e cercavo di darmi delle risposte. Non coincideva con una mia fase particolarmente positiva, proprio no, provavo comunque a trovare delle motivazioni valide che mi dessero una spinta nel cercare di essere felice. Ecco questa canzone mi ha aiutato tantissimo. È una mezza autoanalisi che mi sono fatto! Scelgo lei perché è la canzone dove più mi sono messo a nudo, dove ho cercato di raccontarmi per quello che sono davvero, senza filtri o caricature.    

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Anziché tre parole, ne dico cinque: canzoni tristi che fanno sorridere. Nei miei brani racconto di guai, danni, cazzate e cose non andate proprio nel verso giusto, ma in tutto questo casino cerco sempre di trovare il lato positivo, una soluzione, una speranza, un’idea che riesca a farmi notare il bello anche quando le situazioni sono complicate. Insomma cerco sempre di sorridere alla fine della fiera e nonostante tutto. Non è una descrizione definitiva questa che ho dato perché non riguarda tutti brani dell’album appena uscito (BORIANI, NdR), ma solo alcune canzoni, però mi piace come definizione. La mia musica non è altro che il risultato di come mi vivo le cose, dove semplicemente cerco di raccontarmi senza dipingermi per come la gente vorrebbe o per come vorrei essere. Quando faccio musica, l’unica strada percorribile è quella della sincerità emotiva, per tutto il resto, lascio fare al caos e alla creatività. 

 

Progetti futuri?

La parola futuro mi suona strana, ma allo stesso tempo sta prendendo sempre più forma nella mia testa. Dopo gli ultimi anni, un ritorno al futuro era difficile da immaginare. Il nostro settore ne ha sofferto tantissimo e insieme a lui anche noi musicisti, talmente tanto da dover mettere in pausa il lavoro di una vita. Piano piano si inizia ad intravedere una certa fiducia, soprattutto in vista dell’estate. Ecco se devo parlare di progetti futuri, parlo di un futuro prossimo, molto vicino. Spero di fare più live possibili perché la verità è che il palco mi manca. L’idea è quella di girare pecchio quest’estate per ritrovare quel contatto col il pubblico. Oltre ai live, altra volontà è quella di tirare fuori anche roba nuova, così da tornare a bomba sul mio album appena uscito. Ho aspettato tre anni perché venisse pubblicato il mio disco e in questa attesa non ho fatto altro che scrivere pezzi nuovi. Ecco non vedo l’ora di farvi sapere, con le mie canzoni, tutto quello che mi è successo negli ultimi tempi.

Tre Domande a: problemidifase

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Sogno: sono molto legato ai sogni che faccio. Mi hanno sempre influenzato molto, nel bene e nel male. Spesso la dimensione che cerco di raggiungere quando scrivo e arrangio le canzoni è simile a quella dei sogni che faccio: astratta, a tratti incomprensibile. Questa mia ricerca, nell’EP di problemidifase RISTORANTE / ALBERGO / CROCE si palesa nel brano Carmine ma soprattutto in Mascara.
Nostalgia: non credo che per me ci sia un sentimento più forte e coinvolgente della nostalgia. A volte è logorante, molto spesso dà dipendenza, in generale adoro sprofondarci. Che sia lei a darmi l’ispirazione per i miei brani o che sia solo un colore che mi piace usare, è presente in quasi ogni cosa che faccio per il progetto problemidifase.
Cura: questa parola ha un doppio significato per me, perchè indica sia la mia ricerca maniacale per la cura e la perfezione dei suoni (che per fortuna condivido con il mio produttore Cristian Volpato), sia il fatto che per me scrivere è sempre stato parte della cura per il malessere interiore. Spero che queste canzoni possano anche essere parte del percorso di altre persone, che possano anche aiutare a guarire gli altri.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

Tra le canzoni di RISTORANTE / ALBERGO/ CROCE sceglierei Carmine, perchè è quella che rappresenta al meglio la sonorità che vorrei portare avanti con il progetto e le cose che arriveranno in futuro. 

 

C’è un evento, un festival in particolare a cui ti piacerebbe partecipare?

Per quanto riguarda i festival mi piace molto il MI AMI, anche se sognando in grande direi Home Festival o I-Days. Sognando ancora più in grande, suonare al Red Rocks (Amphitheatre, in Colorado USA, NdR) deve essere un’esperienza incredibile.

Tre Domande a: Marvin Tramp

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perchè?

Sicuramente Tutto il Mondo È una Bugia, è una canzone a cui sono particolarmente legato perché esprime a pieno i sentimenti che provo ora che i trent’anni iniziano a farsi vedere all’orizzonte. C’è la paura di invecchiare, di smettere di sognare e di comportarmi come quando ero un bambino o un adolescente spensierato e arrabbiato con tutto il mondo. C’è la preoccupazione di non innamorarsi più come una volta, delle cose, della vita e delle relazioni, che prima erano solo una genuina conquista d’amore, spensierata e sempre nuova, mentre crescendo tutto diventa sempre più una responsabilità verso gli altri e verso se stessi, qualcosa da costruire con attenzione e fatica, senza potersi più permettere di rischiare, esagerare e sbagliare, perché tutto ciò che non funziona si trasforma in una ferita difficile da sanare. Questa canzone mi ricorda sempre di cercare di vivere come allora, con la consapevolezza acquisita negli anni ma allo stesso tempo con il coraggio e la spensieratezza di un bambino, che ogni giorno vive una nuova scoperta.

 

Che messaggio vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Chiaramente ogni canzone racchiude un messaggio a sé. Tuttavia diciamo che il messaggio che provo a trasmettere in ogni pezzo che scrivo è un messaggio di positività nascosto tra sonorità e vibrazioni melanconiche. Mi piace molto descrivere emozioni “in bilico”, ovvero a metà tra un sapore triste ed un retrogusto felice, dove si intende che è presente una certa nostalgia che tuttavia termina con un riscontro positivo, quasi ad affermare che tutto fa parte della vita e tutto può essere visto come qualcosa di positivo, anche i momenti difficili. Mi diverte poi il fatto che, a seconda del momento in cui ascolto una mia canzone, a volte la trovo particolarmente struggente e altre particolarmente rassicurante.

 

Progetti futuri?

C’è già un progetto nel prossimo futuro, tocca aspettare ancora poco. Per quel che sarà dopo, ancora non lo so, ogni volta che ho provato a disegnare un percorso da seguire è puntualmente arrivato un acquazzone a sbavare tutto. Mi sento abbastanza sereno nel dire “Vediamo cosa succederà”. Questo è un periodo della mia vita in cui prendo le cose come vengono, senza troppe aspettative, seguendo un po’ il vento delle opportunità. Certo ho parecchi sogni nel cassetto, sia a livello musicale che lavorativo, e questo è buono perché i sogni mi aiutano ad alimentare questo vento. Se devo parlare più nel concreto, diciamo che non ho mia desiderato diventare un artista famoso o qualcosa del genere, ma quello che mi piacerebbe davvero è poter coniugare il mondo della musica col lavoro che faccio in ambiente sociale, magari aiutando, attraverso questa incredibile forma d’arte, i ragazzini con cui lavoro, dandogli la possibilità di esprimersi e farsi sentire.

Tre Domande a: Clio and Maurice

Come state vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

Nel corso di questi anni, ormai completi, di pandemia abbiamo attraversato fasi diverse tra loro: l’interruzione forzata dei primi mesi del 2020 ci ha permesso in realtà di focalizzarci sullo studio dei nostri strumenti e sulla scrittura, ed è stato un periodo creativamente molto fertile. Il momento in assoluto più difficile è stato l’inverno e tutta la prima parte del 2021, quando ci siamo ritrovati per molti mesi consecutivi senza poterci esibire, con conseguenze sia economiche che emotive impegnative. Ora per la prima volta a distanza di due anni ci sentiamo di poter tornare a fare progetti sul medio periodo.

 

Come e quando è nato questo progetto?

Il progetto nasce circa tre anni fa: ci conoscevamo già da diversi anni, ma non avevamo mai provato a scrivere qualcosa insieme. Già ai primi tentativi eravamo molto contenti dei risultati e i feedback erano buoni, nonostante la particolarità della nostra formazione: malgrado di questo ultimo periodo siamo ancora convinti di essere su una buona strada.

 

Progetti futuri? 

Abbiamo finito di lavorare al nostro primo album e stiamo organizzando un tour estivo in Italia e uno autunnale in Europa.

Tre Domande a: Samuele Proto

Come e quando è nato questo progetto?

Il mio progetto artistico è nato molto presto. Quasi fin da subito, quando avevo 16/17 anni ho avuto la fortuna di lavorare in studi di registrazione affermati al fianco di musicisti e produttori professionisti. Da queste mie esperienze mi sono portato dietro una certa mentalità legata alla qualità strutturale e di realizzazione delle canzoni.
Il progetto nasce proprio da una base del genere, è un insieme di canzoni pensato fin dal principio. Volevo dare un concetto generale a tutto il disco e l’uscita del primo singolo Fragili Rose rappresenta bene il sound del disco. Strumenti suonati, musicisti, arrangiamento ricercato. Tutte componenti che sono state considerate e organizzate fin da subito, appena finita la fase di scrittura delle canzoni. In più il desiderio di realizzare un progetto che potesse avere ancora più valore se portato live.
In termini invece temporali, la scrittura del disco è iniziata ad inizio della prima pandemia. Da questo punto di vista il tempo dilatato dovuto purtroppo alla situazione che abbiamo vissuto mi ha portato ad avere un po’ di tempo per pensare, riflettere ed elaborare nuove idee. Da quel punto in poi abbiamo impiegato quasi due anni per arrivare in fondo al lavoro. Avevo in testa un sound preciso che richiedeva una scelta precisa dei musicisti e addetti. Una grande famiglia che piano piano si è unita per creare un progetto che spero con tutto il cuore possa piacere. 

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ascolta?

Mi piacerebbe tanto che Fragili Rose rappresentasse per le persone che l’ascoltano una piacevole scoperta. Non solo verso la mia musica ma soprattutto verso un concetto di musica che accomuna tanti artisti come me. Spesso ci si lamenta della mancanza di contenuto nelle canzoni o nell’arte in generale dei nostri tempi. Mai però ci si domanda se questa mancanza di contenuto sia dovuta agli artisti o alla possibilità degli artisti di fornire contenuti.
Io sono convinto che le persone che ascoltano musica vogliano e ricerchino contenuti, che siano lirici, musicali, artistici in generale.
La mia speranza è quella di riuscire a trasmettere una tipologia di lavoro forse anacronistico ma che venga assimilato e accettato nei tempi che viviamo.
Come artista penso che per trasmettere qualcosa ci sia bisogno di tempo e banalmente la durata radiofonica dei pezzi molto spesso non ti permette di dire niente.
La chiave sono convinto che sia nella capacità di realizzare una canzone che abbia tutto il tempo di dire quello che deve dire, ma realizzata e costruita in modo tale da non percepirla come opera complessa ma come canzone leggera, capace di essere cantata da chiunque.
Se riuscirò a trasmettere questa cosa agli ascoltatori sarò soddisfatto dal mio lavoro.

 

C’è un evento, un festival in particolare a cui ti piacerebbe partecipare?

La mia musica ha da sempre contenuto grandissime influenze Blues. Da musicista, prima che da cantautore il sogno nel cassetto rimarrà sempre quello di prendere parte ad una rassegna dedicata proprio al Blues.
Non nego che il desiderio più grande sia quello di partecipare al Crossroads Blues festival organizzato da Eric Clapton. A memoria, credo che solo Pino Daniele, come artista italiano abbia preso parte a quel concerto. Questo mi fa pensare che minime opportunità possano esserci anche per artisti nostrani.
Detto questo, vivendo a Firenze, apprezzo molto l’importanza e la storia del Pistoia Blues Festival, il modo in cui da sempre siano riusciti a dare valore a questo genere in una città così caratteristica mi affascina.
Per concludere la risposta direi appunto che se proprio avessi l’opportunità di partecipare ad un importante festival sicuramente sceglierei un concerto con respiro internazionale dove al centro dell’attenzione possano esserci musica e vibrazioni, al di là della barriera linguistica.

Tre Domande a: Nyco Ferrari

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Intensità, perché amo tutto ciò che è denso, e vivo, e spesso, e tattile, e sgargiante, e vibrante, e vero, con una storia da raccontare.
Sincerità, perché se una canzone, o una performance, o qualsiasi prodotto artistico, non sorge da una necessità intrinseca ed esistenziale, che non sia la semplice voglia di fare qualcosa, non sia una forma prima di un contenuto (a meno che la forma stessa non sia l’ossessione), allora è solo brodaglia, qualcosa di annacquato, acquerello, superficiale, che è il contrario dell’intensità. Poi sono convinto che l’arte sia un vero mezzo terapeutico per l’essere umano, e se la terapia non è viscerale è solo pantomima.
Compagnia, perché spero che la mia musica possa essere un modo di affrontare la vita, è una mano tesa a chi la ascolta che invita a tirarsi su, o a riflettere, o a vivere un certo momento con una certa intensità energetica. Le mie canzoni dicono “Ti accompagno io, se vuoi”.

 

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

Lo dico? La Rappresentante di Lista. Li seguo da quando non facevano 100 paganti ai concerti, ho anche aperto un loro live al Goganga a Milano, anni fa, e mi hanno sempre comunicato esattamente quell’intensità di cui parlavamo poco fa. Mi sento molto affine al loro modo di fare e di intendere la musica, soprattutto nella loro dimensione live, che deriva direttamente dalla loro esperienza con il teatro. Lavorare con loro sarebbe certamente la collaborazione che rispetterebbe più di tutto i miei parametri.

 

C’è un evento, un festival in particolare a cui ti piacerebbe partecipare?

Ce ne sono eccome. Mi piacerebbe molto partecipare al Miami, o all’Ortigia Sound System, occasioni in cui si crea una sinergia fortissima con tutte le spinte della musica emergente, all’incrocio tra impegno alla comunicazione con un pubblico maggiore, e contemporaneamente lo sforzo di rimanere il più fedeli possibili alla propria musica. Situazioni in cui l’interesse degli artisti incontra a pieno l’interesse del pubblico. Se dovessi proporre un live set un po’ più sperimentale, invece, amerei suonare a Terraforma, in un contesto un po’ più lontano dal day-to-day e più vicino ad un’esperienza di vita.

Tre Domande a: Malvax

Come e quando è nato questo progetto?

I Malvax sono Lorenzo Morandi (voce), Francesco Ferrari (piano e synth), Francesco Lelli (chitarra) e Giacomo Corsini (Batteria) e nascono a Pavullo nel Frignano (Modena) nel 2014, quando Lorenzo e Giacomo, dopo aver suonato insieme ad un saggio di fine anno, decidono di mettere insieme una cover band. A loro si uniranno, nei due anni successivi, anche Francesco Lelli e Francesco Ferrari, e la band inizierà dal 2016 a comporre pezzi inediti. Il vero e proprio progetto Malvax nascerà poi, ufficialmente, nel 2018: abbiamo scelto il nome Malvax prendendo ispirazione da una pianta, la Malva, che da sempre viene utilizzata come antinfiammatorio, e aggiungendo la x per farlo sembrare il nome di un medicinale; un po’ per dire col nostro nome che la musica può e deve essere un rimedio nei momenti meno belli, e che può aiutare a elaborare emozioni ed esperienze nel modo più sano.

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui vi ispirate per i vostri pezzi?

Le nostre influenze sono estremamente varie, siamo quattro ragazzi molto diversi e la cosa si rispecchia anche nei gusti musicali; nonostante ciò abbiamo sempre cercato di fare tesoro di queste differenze, cercando sempre di ampliare gli orizzonti, mescolare generi, influenze e suoni. In ambito nazionale, gli artisti che hanno avuto maggiore influenza su di noi sono sicuramente le grandi figure cantautorali del passato e del presente (Dalla, Guccini, De André, De Gregori e Cremonini su tutti), ma negli ultimi anni hanno avuto un grande impatto anche tanti artisti del panorama indie (Calcutta, Gazzelle, Pinguini Tattici Nucleari, ecc…). Anche la musica internazionale ha lasciato una grande impronta su di noi, soprattutto per quanto riguarda il pop-rock inglese, dal Britpop degli anni ’90 (Oasis, Radiohead) ad artisti contemporanei, Coldplay su tutti.

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Sicuramente il nostro modo di fare musica non ha nessuna pretesa morale o filosofica, non abbiamo mai cercato nulla di tutto ciò. La nostra musica si limita a raccontare quello che siamo, quello che viviamo, raccontiamo la nostra vita con la speranza che qualcuno, ascoltandola, ci ritrovi parte del suo mondo, che anche solo un’immagine, una frase o una parola lo faccia sentire parte di qualcosa; siamo convinti che la musica sia il miglior mezzo in assoluto per condividere qualcosa, per sentirci meno soli.

Tre Domande a: Esposito

Come e quando è nato questo progetto?

Ciao, io sono Esposito e il mio progetto nasce tantissimi anni fa, quando da ragazzino ho iniziato a scrivere per gioco le prime canzoni e dopo un po’ di anni ho colto l’occasione di suonare in molti locali della penisola italiana (non per forza i migliori). All’inizio suonavo principalmente cover e ogni tanto mi esibivo in qualche mia canzone senza dirlo e sempre più spesso il pubblico ha iniziato a chiedere informazioni riguardo quei pezzi. È questa la ragione che mi ha spinto a pensare di voler fare un mio disco e, nel 2017, è uscito È più comodo se dormi da me: è stato questo il mio debutto discografico. 

 

Progetti futuri?

Al momento mi sto concentrando sul mio ultimo singolo, I giorni, uscito il primo aprile e il mio prossimo EP, in uscita dopo l’estate.
Nel frattempo però non mi sono fermato e sto scrivendo cose nuove: non so ancora cosa diventeranno nè se usciranno. Oltre alla fase di scrittura di un nuovo brano mi piace quella di produzione, quindi mi sto concentrando anche su quello. Spero di non smettere mai di pubblicare nuova musica, quando pubblico qualcosa di nuovo, è un po’ come se fosse il mio compleanno, forse anche meglio!

 

C’è un evento, un festival in particolare a cui ti piacerebbe partecipare?

Mi piacerebbe suonare al Primavera Sound Festival di Barcellona, un po’ perché è una città che adoro e un po’ perché mi piacerebbe portare la mia musica oltre confine. L’ultima volta che ci sono stato avevo 17 anni e già iniziavo a scrivere le mie prime canzoni, mi aveva colpito la solarità delle persone e la bellezza della città. Ho pensato spesso nel corso degli anni di trasferirmi in Spagna ma alla fine sono rimasto sempre a Milano dove vivo da ormai 15 anni.
Restando in Italia ti direi il MI AMI (festival a Milano), mi piacerebbe accadesse prima o poi. Lascio questo pensiero fluttuare nel cosmo.

Tre Domande a: Ilmostrodellaband

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

È una cosa molto importante arrivare agli altri quando si scrive musica: quando compongo un brano però non penso mai a chi lo ascolterà, mi soffermo solo sulle mie emozioni, le voglio in qualche modo buttare fuori. Quando poi verrò ascoltato spero sempre di essere apprezzato sia musicalmente che nella scrittura, anche se spesso vengono date altre interpretazioni che trovo molto preziose.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

Sicuramente sceglierei 38, fa parte del mio EP L’abbandono, parla di me, della mia vita, di chi penso di essere diventato. Faccio il punto della situazione, mi spoglio delle mie paure, delle mie incertezze e prendo in mano finalmente la mia vita.

 

Progetti futuri?

Prima di tutto vorrei portare il mio EP L’abbandono un po’ in giro, suonarlo il più possibile, poi mi dedicherò al mio nuovo album: ho scritto una decina di brani negli ultimi due anni e non vedo l’ ora di poterli trasformare ulteriormente in modo da farmi crescere a livello artistico. Credo cambierò nuovamente registro, non mi piace ripetermi.