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Tag: tre domande

Tre Domande a: Marcello Capozzi

Come e quando è nato questo progetto?

Nel 2012 scrissi la musica del brano Offshore, che dà il titolo all’album. Il testo arrivò lentamente, credo tra il 2013 e il 2014. Una volta conclusa la composizione (e mentre venivano fuori altre idee in parallelo), compresi col tempo che il brano avrebbe rappresentato il fondamento filosofico di un nuovo progetto discografico: andava coordinato un intero album intorno a quella canzone. Nel frattempo, intravedevo l’orizzonte della migrazione e tanti stimoli andarono a mescolarsi: un certo desiderio di abbracciare ampie prospettive, uno sconfinato attraversamento del nostro tempo verso l’oltre, partendo da un contesto iniziale di miseria. Veder muovere simultaneamente macrocosmo e microcoscmo come in un unico gesto, essere dentro al tempo e fuori dal tempo. Londra divenne a quel punto centrale per mettere in scena il racconto di una storia legata a un unico personaggio in transizione nel Regno Unito, nel suo personale percorso verso l’universale.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

L’album Offshore ha mediamente arrangiamenti molti ricchi e dettagliati. Ma a un certo punto accade che, dopo il percorso ascensionale sviluppato a partire dalla prima stagione, con il folk oscuro di Mors Tua si torna a muoversi ad altezza uomo. Il brano è il racconto del momento in cui il personaggio protagonista della storia si imbatte in circostanze legate al terrorismo internazionale: l’atmosfera da western urbano si addice al contesto in cui si narra del fatale incrocio di sguardi tra due uomini separati da un’arma da fuoco. La timbrica vocale è più carica rispetto ai brani precedenti del disco, a voler interpretare la maturazione del personaggio protagonista, in un percorso dilatato nel tempo. Essendo un brano arrangiato in maniera scarna intorno al mio temperamento espressivo (con molti meno elementi affastellati in stereofonia rispetto alla maggior parte degli altri brani dell’album), inevitabilmente finisce anche per rappresentarmi da vicino come interprete musicale.

 

Progetti futuri?

Smontare il set immaginario di Offshore, toglierlo da Londra e portarlo dalle parti del Nord Africa: “Certo le circostanze non sono favorevoli / E quando mai” (come cantavano i PGR). Anche questo, non sarà un progetto di facile realizzazione.

 

Tre Domande a: Andrea Cappi Multibox

Come e quando è nato questo progetto?

Questo è progetto è nato e cresciuto in tempi molto rapidi. Con le prime restrizioni legate all’aumento di contagio da Covid, nel Marzo 2020 mi sono ritrovato improvvisamente con tanto tempo libero. Ho cercato di gestire e organizzare al meglio le mie giornate concentrandomi sullo studio dello strumento, l’ascolto e la composizione. Ho voluto dare vita a un progetto che assimilasse l’esperienza e le intenzioni musicali del mio trio Flown, con cui ho inciso un disco omonimo nel 2018, e aggiungesse del nuovo materiale proveniente da mondi musicali diversi e strategie compositive per me inconsuete. Ho cercato di realizzare tutto in poco tempo così da “cavalcare l’onda” di quella particolare situazione in cui mi trovavo, anche per non disperdere le idee e far si che tutti i brani avessero una matrice e un metodo comune. Subito dopo è avvenuta la scelta dei musicisti, con i quali avevo già collaborato e collaboro tutt’ora in altri progetti.

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui vi ispirate per i vostri pezzi?

Gli artisti che hanno influenzato la musica dell’album Eleven Tokens vengono da ambienti musicali diversi e sono frutto di ascolti assimilati negli anni. Alcuni di questi sono molto lontani musicalmente dal progetto Multibox ma hanno in qualche modo fornito elementi e spunti concettuali. È sempre difficile fare un elenco perché molte influenze sono implicite e frutto di assimilazioni durate anni, ma posso dire che, almeno negli ultimi tempi, ho ascoltato molto i seguenti artisti: Phronesis, Donny McCaslin, Now vs Now, David Binney, Craig Taborn, Kendrick Scott Oracle, Aaron Parks, Kneebody, Mark Guiliana, Pericopes (progetto di cui fa parte il nostro sassofonista Emiliano Vernizzi)… anche influenze dall’elettronica come Hudson Mohawke, Binkbeats, Flying Lotus, Apparat, Aphex Twin per fare qualche nome.

 

Progetti futuri?

L’obiettivo primario è quello di portare in giro il più possibile il nostro album d’esordio Eleven Tokens che uscirà per l’etichetta Emme Record Label a Gennaio 2022. Abbiamo in calendario alcuni concerti ad inizio anno all’interno di rassegne/festival nel nord Italia e speriamo di aggiungerne altri. Poi stiamo cercando di organizzare qualcosa anche all’estero, in ambito europeo, magari durante la prossima estate.
Sempre in estate ci piacerebbe registrare qualche concerto dal vivo ma dobbiamo ancora scegliere dove e in quali modalità.
Poi ci sono alcune idee in cantiere per il secondo album che speriamo di registrare a fine 2022.
La nostra speranza ovviamente è che tutti questi progetti risentano il meno possibile della pandemia.

 

Tre Domande a: Nevica

Come e quando è nato questo progetto?

Questo disco non era nei miei programmi assolutamente. Addirittura quando mio padre nel 2019 è venuto a mancare mi sono completamente bloccato per mesi. Non avevo voglia di suonare e pensavo a quanto tempo sarebbe passato prima di riuscire a ritrovare la serenità giusta. L’amico promoter Roberto Forlano mi aveva chiesto di fare Fragile una cover dei Nine Inch Nails per una compilation e stavo quasi per rinunciare.
All’improvviso una domenica di settembre ad un mese dal funerale avevo una giornata libera dove mi sono detto: “Vado a fare un giro o scrivo?” – Fu cosi che sono entrato nel mio studio e verso sera il pezzo era pronto, venuto fuori con una naturalezza incredibile.
In quel momento decisi che sarebbe stato importante trasformare il dolore che avevo in un disco dedicato a mio padre per ringraziarlo di tutto l’aiuto datomi nella musica.
A differenza di molti genitori che ostacolano i figli io sono stato fortunato perchè lui mi ha sempre incoraggiato a sviluppare il mio talento.
Così è nato QuaNti di getto in pochissimo tempo.
Per ispirarmi ho utilizzato alcuni vecchi nastri dove registrava la sua voce e raccontava di storie di vita quotidiana tra cui anche delle favole quando ero bambino. Soprattutto mi ero sbloccato di getto e mi chiedevo come la musica potesse essere così potente da riuscire a dare tanta forza, coraggio e fiducia nel futuro.
Penso sia grazie a questa forza che sono riuscito a terminare quest’opera.

 

Cosa vorresti fare arrivare a chi ti ascolta?

Da sempre mi chiedo che significato abbia per me scrivere canzoni. Da una parte c’è un senso di sfogo in cui metti in musica tutte le tue frustrazioni e le tue sconfitte che inevitabilmente si incontrano nel corso della vita. Quindi scrivere rappresenta una forma di psicoterapia per liberare delle energie che se rimangono dentro possono fare male (ad es. il dolore per la morte di una persona cara). Questo è un punto di vista introspettivo e anche un po’ “egocentrico” diciamo, ma ci sta è a fin di bene.
D’altro canto credo fermamente che ognuno di noi nasce con una missione precisa in questo mondo e che spesso noi artisti siamo come delle antenne di una radio puntate sull’universo che captano dei segnali che traduciamo in musica e canzoni senza merito alcuno. È solo il compito che ci ha assegnato qualcuno e noi possiamo solo obbedire.
Fatta questa premessa credo che chi ascolta sia libero di vederci quello che vuole in una mia canzone. Posso anche avere un intento e cercare di trasmettere un messaggio ma il pubblico vive e fa sua ogni singola nota in base ai propri vissuti ed emozioni. A volte mi raccontano che un mio brano ha rievocato loro delle sensazioni cui io non avevo pensato quando ho scritto il pezzo e che è stato fondamentale in un certo momento della loro vita.
Tutto ciò per me è straordinario. Ma non posso pensare che sia merito mio io ho solo manifetsato qualcosa che da qualche parte esiste già.
Concludendo, se posso avere ogni tanto una piccola possibilità di scelta cioè di decidere cosa vorrei che arrivasse alla gente che ascolta le mie canzoni, risponderei consapevolezza, desiderio di conoscersi meglio, migliorare il proprio rapporto col mondo e “crescere” spiritualmente.
Infatti non parlo mai di politica o di attualità nei miei pezzi cè sempre molta introspezione e spiritualità una dimensione purtroppo molto poco presente oggi.

 

Progetti futuri?

Ho già in mente di scrivere un disco nuovo. QuaNti è servito a chiudere un ciclo ‘la trilogia dell’anima”, a mettere un punto fermo sul passato.
Ho voglia di pensare al futuro e mettermi alle spalle definitivamente questi ultimi due anni che pandemia a parte, sono  stati per me molto difficili. Amo produrre dischi di altri artisti per cui mi dedicherò molto anche a questo che fondamentalmente è il mio lavoro, ma spero di poter fare anche tanti concerti nel 2022.
Abbiamo tutti bisogno di ripartire e di continuare a credere che il nostro compito di essere musicisti sia importante per l’umanità intera.

 

Tre Domande a: Roberta Giallo

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

La mia musica è ispirata, istintiva, onesta. Gli aggettivi cambiano in base ai giorni,  ma questi tre sono una specie di costante.
Scrivo quando “mi arrivano” le note e le parole, seguendo il vortice; ho una specie di settimo-senso che mi guida e mi suggerisce che strade percorrere, anche nel buio.
Mi metto al piano, abbasso la luce, mi metto in ascolto e le canzoni nascono fluide.
E poi sì, sono onesta, soprattutto quando scrivo e canto.
La mia voce “si sa”, e sapendosi non può e non vuole tradirsi o mentire.
Devo sentire tutto “appartenermi”, devo crederci: mettere al mondo la musica che sento di poter rappresentare, incarnare la sola storia che posso cucirmi addosso, difendere pure l’indifendibile, combattere pure l’imbattibile, ma crederci!
Sentire fino al midollo ciò che canto, suono, musico, interpreto.
Trarre il meglio, il necessario delle mille parole dette e sentite, piangere per piangere davvero, amare e basta, gioire per ridere forte dentro, fino ad avere quasi male al cuore.

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

In un certo senso la cosa si è già avverata ma non aggiungo altro, se non il nome e qualche aggettivo a precederlo… una mosca bianchissima: lo straordinario, talentuoso, luminoso, insuperabile, chitarrista e produttore, Corrado Rustici.

 

Progetti futuri?

Parlo solo del “certo e confermato”, e metto le virgolette perché di questi tempi, tocca essere prudenti… Ma con gioia e fiducia quasi infinita nei confronti dell’avvenire, vi segnalo un godibile e coinvolgente spettacolo scritto insieme al giornalista e critico musicale Ernesto Assante, con cui debutteremo a gennaio a Montecarlo, al Thêatre Des Variétés, Il Mio Incontro con Lucio Dalla (poi naturalmente, anche in Italia, e lì vi aspettiamo al varco).Vi segnalo inoltre che tornerò sul grande schermo come protagonista e voce narrante del nuovo film che racconta i 25 anni del MEI – Meeting degli Indipendenti, con i super registi Marco Melluso e Diego Schiavo, che tra l’altro mi hanno tenuta a battesimo sul grande schermo col pluripremiato film Il Conte Magico.
Inoltre ritorneremo live con il giornalista e scrittore Federico Rampini, con le nuove date dello spettacolo Morirete Cinesi, di cui ho curato tutta colonna sonora.
Last but not least: presentare live, ovunque sia il luogo giusto, il mio nuovo album Canzoni Da Museo.
Certamente farò la mia prima tappa al Museo della Musica di Bologna, e non solo… seguitemi sulle mie pagine web (FB, IG, Telegram), se desiderate essere aggiornati, perché ne combino di tutti i colori: per esempio il 9 dicembre sarò al teatro Ponchielli di Cremona per omaggiare Mina con l’Orchestra della Filarmonica Italiana, poi l’11/12 dicembre a Bologna, al Laboratorio San Filippo Neri, ospite, comme d’habitude alla giornate tutte dedicate all’errore, poi a Marzo sarò a Roma, con L’Orchestra Sinfonica dell’Aquila, diretta dal Maestro Valentino Corvino per interpretare i Beatles in un altro amatissimo spettacolo, di e con Federico Rampini… basta, mi taccio, altrimenti si fa notte!

Tre Domande a: The Tangram

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?
Fondamentalmente quello che facciamo è provare a trasmettere quel momento d’ispirazione che avviene o accade nella fase di creazione artistica; quella sensazione è comprensibilmente variabile, ci sono canzoni che descrivono momenti differenti, quello che possiamo augurarci e che chi ci ascolta possa cogliere quelle sfumature ed empatizzare su ogni livello la nostra musica. Quando qualcuno viene a dirti “Quella canzone mi ricorda un evento della mia vita”, o quando viene detto “Quel brano l’avete scritto per me”, oppure “Quel pezzo mi smuove un qualcosa dentro” … ecco, ha un’importanza fondamentale per noi, ciò che facciamo è finalizzato alla condivisione, ed anche se partisse da uno sfogo o dalla voglia di raccontare esperienze personali e non, crediamo che le cose siano collegate e che gli altri possano comunque entrare in contatto con quel tipo di sensazioni, e sopratutto che possano provare la cosa più importante di tutte… l’autenticità e la sincerità.
Come vi immaginate il vostro primo concerto live post-pandemia?
Quest’estate è stata ricca di appuntamenti; anche se è stato gratificante respirare quegli attimi di libertà, provare ad immaginare un qualcosa dove non ci sia più quel tipo di preoccupazione generale sarebbe un sogno, ci auguriamo presto di poter rivivere i live accompagnati da quei momenti di totale abbandono.
Quanto puntate sui social per far conoscere il vostro lavoro?
Il discorso social per noi è molto dicotomico… seppur comprendendo l’effettiva utilità e potenzialità c’è una parte di noi che riesce a dare un senso alla cosa, e un’altra invece che è restia all’eccessivo utilizzo, sopratutto per una propria “scelta”, dettata principalmente dallo spavento d’essere intrappolati in “abitudini virtuali”, che a nostra veduta potrebbero minare la creazione di contesti e movimenti vitali per la condivisione artistica e sociale. In ogni caso proviamo ad utilizzare i social in maniera mirata e ad essere coerenti sempre con la nostra visione.

Tre Domande a: Carsico

Come e quando è nato questo progetto?

È nato circa tre anni fa quando iniziammo a mettere mano all’arrangiamento di Itaca, brano che aveva una forza, almeno in potenza, che dovevamo riuscire a veicolare al meglio. Conclusa Itaca il resto dei brani arrivò nel giro di pochi mesi; si era innescato un processo virtuoso, sapevamo avremmo prodotto un buon disco. S’innescò, quindi, in Manuel Volpe ed in me, il desiderio di tentare di rendere omaggio ai modelli musicali di riferimento di entrambi cesellando i testi nel modo più accurato possibile, parola per parola, verso per verso.

 

C’è un artista particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

Si, si chiama Susan O’Neill, una polistrumentista e cantante irlandese dall’espressività vocale poderosa, magnetica. Il folk-pop anglo irlandese, da Damien Rice e Lisa Hannigan, Beth Oton, John Smith, Mick Flannery, è uno dei modelli musicali, melodici, armonici e vocali che ha senza dubbio influenzato le atmosfere di alcuni brani del disco.

 

Come ti immagini il tuo primo concerto post-pandemia?

Me lo immagino ogni giorno, perchè sta per arrivare, sarà il 27 Novembre, giorno della presentazione del disco, e voglio che sia un’esperienza totalmente gratificante per chi verrà ad ascoltarci. La band sarà composta da alcuni dei musicisti già presenti nelle sessioni di registrazione del disco e da componenti nuovi, giovani virtuosi con alle spalle grandi palchi e collaborazioni prestigiose tra Italia, Francia e Svizzera.

Tre Domande a: Michael Sorriso

Come stai vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

Fortunatamente ho passioni trasversali e sfogo la mia verve creativa seguendo da vicino le evoluzioni e il percorso di un brand che ho fondato qualche anno fa, Italia90.
Mi è mancata particolarmente la dimensione live, seppur non avessi dei tour programmati, ma è sempre stata la parte che preferisco e in cui so di potermi esprimere al meglio.
È stato anche difficile e lo è tutt’ora, dover attendere più di un anno per l’uscita delle canzoni registrate precedentemente, ma ho sfruttato l’attesa per iniziare a lavorare a del nuovo materiale. A inizio novembre, per esempio, è uscito il mio nuovo singolo, Pianoforti.

 

Come e quando è nato questo progetto?

Michael Sorriso nasce artisticamente con lo pseudonimo di Lince nel lontano 2005, anno in cui, quindicenne, feci la mia prima battle di freestyle.
Dopo più di un decennio di concerti, diversi mixtape e un disco pubblicato con un’etichetta indipendente torinese, ho deciso di virare sul mio nome di battesimo e di far coincidere il mio primo disco in Major, da professionista, con l’adozione di questa nuova identità, che poi è la successione naturale di quella precedente.

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Rap, anarchia, ricercatezza.
Rap perché è quello che faccio, lo strumento che utilizzo per esprimermi e con il quale mi approccio alla stesura dei testi.
Anarchia perché per me la musica è il luogo in cui potersi esprimere liberamente, senza preoccuparsi di pensieri e costumi imposti dalla società. È un posto in cui, chi ci vive, legifera; senza sovrastrutture e burocrazia.
Rap ed anarchia si alimentano a vicenda, nonostante il genere sia nato nella culla del capitalismo e nonostante prevalgano fenomeni che ne alimentano una visione stereotipata.
Ricercatezza perché odio le cose dozzinali e le cose fatte emulandone altre. Ogni canzone è stata composta con musicisti di grande spessore e con un certo gusto, con la speranza, assolutamente controtendenza rispetto alle necessità attuali e di mercato, che possa invecchiare al meglio e resistere ai segni del tempo, sia dal lato musicale che da quello autoriale.

Tre Domande a: Yosh Whale

Se doveste riassumere la vostra musica in tre parole, quali scegliereste e perché?

Spontanea: pensiamo che la nostra musica risulti essere spontanea o almeno speriamo arrivi questa sensazione. Abbiamo lavorato molto nel nostro ultimo singolo Ceneresole per cercare di far succedere la nostra musica, cercare di comporre senza filtri, far si che le nostre canzoni siano espressione diretta di ciò che siamo e viviamo.
Sensibile: la nostra è una musica che prende vita dai sensi; la vista, i suoni, gli odori che ci circondano prendono vita e si trasformano nell’immaginazione dando vita ai testi delle nostre canzoni.
Luminosa: è una musica che vive la luce in varie forme. C’è spesso, altre volte non si vede perché la si cerca ma alla fine da qualche parte viene fuori ed è sempre vita. In Ceneresole tutto questo è abbastanza chiaro.

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Nulla in particolare. O forse la libertà. Ci piacerebbe che le persone ascoltando la nostra musica non si sentano ingabbiate nel testo ma che siano libere di pensare e immaginare cose diverse da quelle che abbiamo detto noi. Speriamo di donare alle persone la libertà di aggiungere significati nuovi alle nostre visioni, alla nostra musica.

 

C’è un artista in particolare con cui vi piacerebbe collaborare?

Ci piacerebbe molto collaborare con Venerus. È un artista che per i nostri ascolti è stato come un’illuminazione. Da sempre ci siamo ispirati a musica genericamente internazionale come James Blake, Bon Iver, ma ad un tratto Venerus ci ha fatto capire che alcune trame di quella musica si potevano fare e sopratutto bene e in maniera originale anche in Italia, ci ha suggerito delle nuove strade per un obiettivo che inseguivamo da tempo.

Tre Domande a: Sgrò

Come stai vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

Riorganizzando l’orizzonte di ogni mio desiderio. Non sono padrone del tempo, non posso controllarlo, e programmare ha perso di senso. Quello che cerco ormai di fare, è, appunto, fare, sapendo che ci sono altre mille variabili non direttamente controllabili. Non ne vale la pena rimandare, come ho fatto io per anni.

 

Come e quando è nato questo progetto?

Non so se ci sia o meno una data di nascita, perché Macedonia è un progetto che mi è salito su su dallo stomaco fin dall’adolescenza. Anche se il mio primo singolo (In Differita) è uscito a marzo 2020, pochi giorni prima del lockdown, io sento che quel filo di voce, se lo seguo, mi riporta dritto dritto alla mia prima stanza e alla mia adolescenza.

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Spero arrivi quella cosa che chiamano verità, cioè urgenza. Un’urgenza che non è urlata, ma sussurrata. La voce di questo mio primo disco, Macedonia, è una voce a tratti apatica, stanca, intima e ha il colore delle pareti verniciate l’ultima volta ormai decenni fa. Spero si senta che sono canzoni fatte con lo stomaco, con la testa e con il cuore. Non ho cercato una via d’uscita dal mondo, ma una via d’entrata.

Tre Domande a: Mått Mūn

Come e quando è nato questo progetto?

Il progetto Mått Mūn ha rappresentato per me un nuovo inizio, un nuovo focus musicale. Negli anni precedenti avevo spaziato tra molti generi e stili, sempre con delle band, e ad un certo punto, precisamente nel 2018, ho sentito che era arrivato il momento di trovare una nuova forma, un’incarnazione definitiva e totalmente personale, per poter fare un passo avanti, per venire completamente allo scoperto e poter crescere, mostrando tutto ció che avevo dentro in una dimensione più matura, al massimo della creatività.

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Profonde emozioni, caleidoscopiche sensazioni, idee e curiosità per il variegato mondo che ci circonda e per le meravigliose e sconfinate connessioni tra l’essere umano e il cosmo a cui appartiene.
Mi piacerebbe dare qualcosa di originale, di profondo, portando l’ascoltatore su altri mondi attraverso le melodie e le tematiche espresse, cercando di trasmettergli un po’ del mio animo sognante.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

Sceglierei proprio il singolo in uscita in questi giorni, Iridescent, primo estratto dal nuovo album LUX. I motivi sono molteplici…Innanzitutto perchè credo che il brano abbia un perfetto mix e una giusta alchimia per quanto riguarda i generi che più amo e che più ho cercato di approfondire negli ultimi anni: l’elettronica, il rock, il synthpop. Inoltre Iridescent è una canzone energetica, positiva, colorata, luminosa, con un ritornello molto orecchiabile, con un tema di base che ritengo interessante e ricco di sfumature.

Tre Domande a: Aligi

Come e quando è nato questo progetto?

Il progetto di questo nuovo disco è nato circa due anni fa durante il primo lockdown. Ero a Milano e avevo da poco ricavato un piccolo studio di registrazione nel ripostiglio degli attrezzi che avevo sul terrazzo di casa. Quella è diventata la mia tana che poco tempo dopo ho soprannominato “la nave”: intere mattinate e nottate a suonare, a scrivere e a scartare materiale per poi affacciarmi dalla finestra e assistere a quei momenti dilatati e così inaspettati. Ho imparato ad avere fiducia nei primissimi momenti di scrittura, quando è tutto nella tua mente, ma tu già lo vedi e vorresti come per magia essere al punto in cui stai rifinendo le ultime cose. E invece ero soltanto all’inizio e stava tutto a me, così ho iniziato a tirare fuori suoni da un nuovo synth analogico che avevo comprato da poco, collegato a una drum machine e, sempre presente, la mia chitarra. Ricordo poi con precisione un momento successivo, un’intuizione, la visione sonora di come sarebbe stata effettivamente la strada del mio nuovo percorso creativo. Ho cominciato a unire un suono più acustico e dalle influenze indie-rock con l’elettronica, il sapore psichedelico e sognante delle armonizzazioni dei cori e delle slide guitars a un’atmosfera più clubbing, dove linee di synth bass e arpeggiator si incastrano perfettamente con drum kit caldi e potenti. Infine, la voce. La voce quasi come uno strumento, dove più linee vocali si sommano e armonizzano così da creare un impatto deciso e delineato. Volevo poi poter descrivere quelle sensazioni di incertezza e di mistero che si respiravano in quelle giornate di primavera così insolite e a volte tragiche. Direi che quel periodo è stato davvero decisivo per la realizzazione dell’EP che uscirà, sia nei contenuti dei testi che nelle sue sonorità.

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Con la mia musica cerco di portare chi ascolta (e me stesso in primis) verso una dimensione sonora capace di guidare in atmosfere spesso sognanti. Vorrei far ballare, perché anche io amo ballare, e vorrei che le persone potessero sentire quella stessa esigenza che sento io di scavare sempre più in profondità nella vita, di ricercare l’energia che spinge ad andare avanti, a stupirsi, a non demordere, a sfidarsi, a credere in se stessi e credere che ogni essere umano abbia appunto “una luce sua”, una luce interiore. A volte c’è una velata nostalgia nel mio processo creativo, sia per quanto riguarda le musiche che i testi; altre volte c’è un fuoco dirompente di estasi e di voglia di festa e leggerezza, senza fine. Come sempre luce e ombra coesistono, devono esserci, mi piace tantissimo quest’aspetto delle cose che si ripercuote in tutto, in natura così come nell’arte e nella musica. Esporre il lato più sensibile e autentico di quello che vedi e poi saper accoglierne le sue oscurità più improvvise. A questo proposito, cito Il Piccolo Principe perché penso sia un grande esempio artistico e letterario, una grande guida per molti di noi (e a volte, io mi rivedo un po’ in lui).
Dal punto di vista sonoro, mi piace invece pensare e comunicare che la mia musica sia un mix tra le armonizzazioni psichedeliche e taglienti dell’album Revolver dei Beatles e le incessanti e aggressive drum machines dei Chemical Brothers, dove il Cosmo dei giorni nostri è sicuramente un artista da cui prendere esempio per stile e inventiva.

 

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

Uno dei miei sogni sarebbe quello di poter conoscere e collaborare con Josh Homme, frontman e leader dei Queens of the Stone Age. Amo il suo sound e le cose che ha creato, anche nelle produzioni che ha fatto separatamente con altri artisti, c’è qualcosa di mistico e spirituale nella sua musica che sento molto vicino e mi incanta sempre. Mi piacerebbe poter andare insieme nello studio che ha nel Joshua Tree che si chiama Rancho de la Luna e registrare qualcosa, magari un nuovo EP o delle Desert Sessions. Spesso fantastico su quanto potrebbe essere stimolante e interessante lavorare al suo fianco, unendo il suo stile ipnotizzante e dal sapore californiano alle mie visioni più elettroniche e “danzerecce”(cantate, perché no, anche in italiano).

 

Tre Domande a: Davide Sammarchi

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Nel momento in cui decido di pubblicare un mio brano mi piace, che chi lo ascolta lo faccia nel modo più personale possibile, perciò tendenzialmente lascio una grande libertà all’ascoltatore di associare qualsiasi cosa alla mia musica, di viaggiare con la mente, andare lontano, dove più preferisce. Questo, per me, dà un senso profondo a ciò che faccio. Quel momento in cui una musica che ho composto raggiunge la sensibilità di chi ascolta e gli viene attribuita un’emozione, qualsiasi essa sia, lì trova la sua ‘conclusione’.

 

Progetti futuri?

Fare musica, naturalmente. Non potrei fare altro, sto già lavorando a dei nuovi brani.
Continuare a lavorare sul suono del pianoforte per renderlo sempre più personale e riconoscibile, come fosse un’estensione della propria voce.
Sto anche pensando a delle visuals da portare nei live, per creare uno spettacolo ancora più coinvolgente per lo spettatore.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

Probabilmente sceglierei Ad occhi chiusi che è il brano che ho scelto come prima traccia, in apertura del disco ‘And in silence I found my voice’. È caratterizzato da una melo- dia particolarmente spontanea, che mi è uscita di getto e non ha avuto bisogno di parti- colari revisioni o scritture successive…è il mio ‘attestato’di sincerità, che rappresenta una componente fondamentale del perché faccio musica.
Semplicemente non potrei farne a meno.