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Shame @ Arti Vive Festival

Adoro i festival piccolini. 

Quei luoghi a misura d’uomo, dove non ci sono distanze incolmabili da riempire tra un palco e l’altro, niente file assurde per birre o servizi, niente calca asfissiante. E Arti Vive è un piccolo gioiellino della categoria. Nato nel 2007, è una rassegna a tutto tondo di arti e spettacolo all’interno della ridente cittadina di Soliera, in provincia di Modena. Che poi, festival piccolino se si parla di grandezza fisica, perché i nomi degli artisti internazionali che si sono esibiti sul suo palco sono tutt’altro che piccoli: Peter Hook, Teho Teardo & Blixa Bargeld, Einsturzende Neubauten solo per dirne alcuni. E anche l’edizione di quest’anno non scherza: The Notwist e The Brian Jonestown Massacre, headliner di tutto rispetto.

La preview del festival, invece, è stata affidata ad una delle band che mi ha rapito il cuore negli ultimi anni e che, ogni volta che sono andata a sentirli, mi sono ritrovata piena di lividi ma con un sorriso a 32 denti. Sto parlando degli Shame, giovanissimi londinesi che si sono distinti all’interno dell’ondata di revival post punk degli ultimi anni grazie alle loro performance esplosive ed adrenaliniche.
E anche questa volta non mi hanno delusa.
La location era a dir poco incantevole, i Giardini Ducali di Modena, a due passi dalla stazione e comodissima da raggiungere. Ti permetteva, inoltre, di sorseggiare una birra fresca sul prato mentre accanto si esibivano gli artisti d’apertura della serata: Heroin King, cantautore locale che ha creato un’atmosfera intima e soave, e i Korobu, band bolognese alternative rock capitanata dall’ex leader dei Buzz Aldrin.
Finalmente, sul palco arrivano i cinque britannici e la folla impazzisce. Charlie Steen, frontman dallo sguardo birichino di chi sa che sta per fartene vedere delle belle, sale sul palco con camicia e pantaloni eleganti, classico stile British. Subito si parte con Fingers of Steels, dall’ultimo disco Food for Worms, definito proprio dalla band come “La Lamborghini dei dischi degli Shame”. Chitarre affilate, batteria ossessiva, ritmi incalzanti e il pogo parte immediatamente. Ovviamente Charlie non è da meno e quasi subito si butta sul pubblico per il primo dei suoi innumerevoli e continui stage diving. Anzi, lui più che buttarsi, cammina proprio sul pubblico: si fa sorreggere solo i piedi mentre con un equilibrio precario passeggia sopra la folla adorante. Tutti i pezzi sono carichi e burrascosi, con una scaletta perfettamente equilibrata con brani da tutti e due i lavori precedenti. Non poteva mancare il basso perentorio che apre Alphabet, dall’album Drunk Tank Pink o i ritornelli incalzanti di Concrete dal disco d’esordio Songs of Praise. Charlie è uno showman di tutto rispetto, brama il pubblico come il pubblico brama lui, ma anche la band dietro non scherza: il bassista Josh Finerty corre avanti e indietro sul palco come un indemoniato, tra capriole e salti carpiati senza sbagliare una sola nota. L’atmosfera si fa più intima con il brano Orchid e il singolo Adderall, che viene cantato a squarciagola da ogni presente sotto al palco.
Grande finale con la celebre One Rizla e Gold Hole che ormai possiamo definire i grandi classici della band.

La prima volta che vidi gli Shame è stato nel 2018, in un bollentissimo Covo Club di Bologna e sono davvero felice di aver ritrovato la genuinità della band ancora intatta, anche se ormai alle spalle hanno diversi dischi e tour mondiali. Sicuramente l’esperienza maturata li ha portati ad avere una tecnica migliore, ma la voglia di esprimersi e divertirsi rimane intatta e costante. Si confermano, inoltre, uno dei live più turbinosi e adrenalinici che abbia visto negli ultimi anni. Charlie Steen, ad inizio live, promette di regalare il “fucking time of your life” durante il concerto e non posso che confermare.

Alessandra D’aloise

Setlist 

Figers of Steel
Alibis
Concrete
The Lick
Six Pack
Tasteless
Burning by Design
6/1
Fall of Paul
Adderall
Orchid
Water in the Well
One Rizla
Snowday
Gold Hole