Skip to main content

Tag: francesca di salvatore

Sanremo 2022: il pagellone del Festivàl

Matteo Romano: una canzone in pieno stile sanremese per questo ragazzo che sembra almeno 5 anni più piccolo di quello che è. Premio Giochi della Gioventù™

Giusy Ferreri: da martedì porta il peso dei meme di questa edizione. La foto di lei con megafono e microfono ci accompagneranno per le prossime settimane.

Rkomi: corre, salta, fa le flessioni, lava i piatti con quei guanti della terza sera e tra una cosa e l’altra canta pure. L’ultima sera fa un sentito discorso su come magari non azzecchi tutte le note ma ci creda comunque fortissimo. Premio Sincerità™

Iva Zanicchi: “e a Iva Zanicchi cosa vuoi dire?”. E infatti non dirò niente. 

Aka7even: porta una canzone che ricorda pericolosamente What Makes You Beautiful degli One Direction. Un Harry Styles che non ci ha creduto abbastanza. 

Massimo Ranieri: non ci sono più i Perdere l’Amore di una volta. 

Noemi: una canzone senza momenti vuoti. Decisamente rivalutata dalla prima sera.

Fabrizio Moro: non riesco a pensare a qualcosa di più diametralmente opposto a Non mi avete fatto niente, con cui vinse nel 2018. Purtroppo questa svolta ballad per me è no.

Dargen D’Amico: stessa chaotic energy di Piero Pelù ma senza rubare borsette al pubblico.

Elisa: l’arte la maestria la perfezione la professionalità la grazia. Podio meritatissimo.

Irama: dopo la quarantena dell’anno scorso, torna cambiato. Come chi torna da un viaggio in India per ritrovare se stesso. Purtroppo, era meglio la prova generale dell’anno scorso.

Michele Bravi: lui icona di stile e del Fantasanremo. La canzone carina ma niente di nuovo. 

La Rappresentante di Lista: canzone meravigliosa, balletto da trend topic già imparato a memoria. Meritano il mondo, sicuramente più di quello che gli abbia dato il televoto.

Emma: una canzone grintosa, in pieno stile Emma. Il duetto con Francesca Michielin sulle note di Baby One More Time ci ha fatto volare.

Mahmood e Blanco: la rivelazione. Una canzone completamente inaspettata da questo duo. Tengono il palco come se lo facessero da tutta la vita e infatti, come da pronostici, vincono. Ci vediamo a Torino.

Highsnob e Hu: i Coma_Cose dopo aver ascoltato per 24 ore filate i My Chemical Romance. La canzone spesso penalizzata dagli orari immondi di esibizione.

sangiovanni: guilty pleasure del festival, non me ne vergogno.

Gianni Morandi: a 77 anni ha più energia di tutto l’Ariston messo insieme. Premio Welfare™ e terzo posto.

ditonellapiaga e Rettore: il duo di cui avevamo bisogno. Il loro 16° posto mi ha fatto venire voglia di fare come l’orchestra nel 2010. Anche loro meritavano decisamente di più.

Yuman: è un film asiatico di 3 ore, di quelli che il tuo amico cinefilo ti giura sia bellissimo. Per pochi.

Achille Lauro: la canzone è molto simile a Rolls Royce, ma le sue esibizioni stupiscono sempre con questo aplomb invidiabile. Un signore.

Ana Mena: da potenziale regina del raeggeton a boss delle cerimonie. Neomelodica.

Tananai: la versione live non rende giustizia a una canzone che in studio è pure godibile. Ultimo posto all’Ariston ma beniamino del Twitter.

Giovanni Truppi: canottiera rossa d’ordinanza (ma artigianale ♥️) ed è subito Festa dell’Unità. Dopo ieri sera mi permetto di volergli un po’ più bene. Duro e puro.

Le Vibrazioni: la canzone mi è piaciuta molto più di quanto mi aspettassi da un pezzo delle Vibrazioni. Premio Shock™

 

Francesca di Salvatore

 

Foto: Marco Piraccini

Grazie a Mondadori Portfolio

Il rock emotivo dei Cara Calma

I Cara Calma sono tornati con il loro nuovo album GOSSIP!, che racconta molto di loro stessi e del momento che stiamo vivendo. Per l’occasione, abbiamo fatto quattro chiacchiere con loro per scoprire le emozioni racchiuse nell’ultimo lavoro.
Ciao ragazzi? Prima domanda un po’ a bruciapelo: come state?
Cesare: “Ciao belli, bene, stanchi come tutti di questa situazione, ma bene.”
Parliamo del vostro ultimo album, GOSSIP!: di solito i gossip si associano poco al rock. Voi come mai avete scelto questo titolo?
“Si è vero il titolo potrebbe sembrare un po’ contraddittorio ma per noi ha un significato più recondito. Partendo dal presupposto che fare musica per noi significa comunicare tutto ciò che c’è di più intimo in noi, bisogna però fare i conti con il fatto che tutto quello che componiamo registriamo e poi masterizziamo su un cd o carichiamo sulle piattaforme viene in qualche modo mercificato, perché le persone possano ascoltarlo e condividerlo. Si tratta di fare gossip di noi stessi e quest’idea ci piace e ci spaventa allo stesso tempo.”
L’album ha un po’ il sapore di una confessione. È stato difficile realizzarlo o invece più spontaneo?
“È arrivato da solo portato da una serie di circostanze ed emozioni provate in questo periodo e senza mentire si può dire che questa situazione pandemica ci ha quasi costretto ad una vera e propria confessione. Ti posso dire quindi che la scrittura, nonostante sia avvenuta a distanza causa Covid, è stata spontanea.”
Cosa distingue GOSSIP! dai vostri lavori precedenti, Sulle Punte per Sembrare Grandi e Souvenir?
“Rispetto ai lavori precedenti Gossip! è sicuramente più vario a livello di dinamiche e c’è qualche canzone come per esempio Per un Attimo o Kernel in cui abbiamo voluto sperimentare un diverso tipo di sound, utilizzando strumenti che non avevamo mai preso in considerazione come i fiati.”
Recentemente avete collaborato anche con i Balto per una canzone del loro disco, intitolata Le Giornate da Morire. È una canzone che parla di incertezza e dello stigma legato al “tempo perso”, temi importanti da affrontare e condividere. Ci raccontate qualcosa in più su questa collaborazione?
“La collaborazione è nata, come spesso accade, prima fuori dallo studio e poi si è consumata lì. I Balto sono amici e Riccardo è stato molto felice quando gli hanno chiesto una partecipazione nel loro ultimo lavoro; il pezzo è molto bello e anche il disco, quindi “Daje tutta regà!””
Un’ultima domanda: se doveste spiegare chi siete con una vostra canzone, quale sarebbe e perché?
“Penso che a questa domanda risponderemmo tutti e quattro con quattro canzoni diverse, io parlo per me e ti dico Kernel perché è la canzone a cui sicuramente sono più affezionato. Scrivere quel pezzo è stato tanto facile quanto doloroso, è sicuramente una delle nostre canzoni più strane a livello sonoro ma anche una delle più emotive.”

Francesca Di Salvatore & Marta Massardo

Cara Calma “GOSSIP!” (Piuma Dischi, 2022)

Quando i Cara Calma hanno annunciato sui canali social il titolo del loro nuovo album, GOSSIP!, ricordo di aver pensato con una buona dose di pregiudizi: “ma cosa c’entrano i gossip con il rock”?

Ma la realtà è che il terzo lavoro in studio della band bresciana sembra quasi una lettera di confessione messa in musica, una confessione che non si ha paura a fare ad alta voce. Infatti, l’idea che emerge da queste dieci tracce è proprio una necessità di liberarsi di alcuni pensieri che invece prima venivano celati e vissuti come un peso. 

Un fil rouge che parte dal “ti dico che va tutto bene, anche se cado a pezzi” di Altalene – primo singolo pubblicato ad aprile 2021 – e che prosegue con continuità, sintetizzandosi bene nel “Ci apriremo e sarà come la prima volta / come se spostassimo l’oceano sulla terra” di Figli senza nome.  La stessa immagine che si delinea dal titolo della prima canzone, Balla sui tetti, evoca proprio una sensazione di libertà, di peso da lasciare andare. 

L’ascoltatore diventa quindi un confidente, un amico che si siede accanto a te e accoglie la tua rabbia e la tua stanchezza, frutto talvolta della cultura del dover essere qualcuno di importante a tutti i costi, anche a scapito di alcuni, agognati e liberatori, attimi di mediocrità e sconfitta, come quelli protagonisti soprattutto di Una Festa.

Lo stile invece resta lo stesso con cui abbiamo imparato a conoscere e apprezzare la band e che li inserisce a pieno titolo nella scena rock contemporanea nostrana, anche se è sempre piacevole scoprire come siano in grado di uscire dalla “comfort zone” dei chitarroni. Non è la prima volta infatti che i Cara Calma si lanciano in pezzi anche musicalmente più introspettivi: lo avevano già fatto con Qualcosa di importante (ft. Ambramarie) nel loro album d’esordio Sulle punte per sembrare grandi e già allora era chiaro che sapevano caricarci ed emozionarci contemporaneamente. 

Questa volta l’introspezione è affidata a Kernel – termine che indica il nucleo di un sistema operativo e a mio avviso è anche un po’ il cuore dell’intero disco (nonché probabilmente il suo pezzo forte). È un brano che si discosta parecchio dai precedenti, dove il pianoforte si prende il suo spazio e accompagna una voce a tratti supplichevole e bisognosa di aiuto. La parte strumentale, con il suo climax, si adatta alla perfezione a questa che è, tra le altre cose, forse la traccia più buia del disco. 

“The darkest before the dawn” direbbero gli inglesi, e non a caso è la penultima canzone dell’album. Compare proprio prima della coda, che s’intitola Dedica – necessaria alla fine di ogni lettera che si rispetti – ed è invece un ringraziamento non solo a noi, gli ascoltatori di questa confessione, ma anche alla musica, che allo stesso diventa tempo croce e salvezza.

 

Cara Calma

GOSSIP!

Piuma Dischi

 

Francesca Di Salvatore

VEZ5_2021: Francesca Di Salvatore

Quando l’anno scorso avevamo pensato alle VEZ5, l’avevamo fatto perché ci sembrava un buon modo per tirare le nostre personali somme musicali dopo un anno particolare in cui la musica era stata contemporaneamente conforto e nostalgia. Per quanto non abbia raggiunto gli stessi livelli — anche se ci ha provato — il 2021 si è mantenuto un po’ sulla stessa scia del suo predecessore, quindi eccoci di nuovo qua, anche quest’anno, a tirare le nostre fila nella speranza di riuscire a tornare il prima possibile e in modo più normale possibile sotto un palco.

 

Fast Animals and Slow Kids È Già Domani

Era l’album che aspettavo con più ansia in questo 2021 e ogni mia aspettativa è stata soddisfatta. Potente, maturo e coinvolgente. Ottimo compagno di viaggio per cantare a squarciagola mentre si guida, o ancora meglio sottopalco. Alcune canzoni erano così azzeccate dal punto di vista personale da essere da brividi.

Traccia da non perdere: Stupida Canzone

 

Francesca Michielin FEAT (Fuori dagli Spazi)

Con questa riedizione del già fortunato FEAT (Stato di Natura) Francesca Michielin aggiunge quattro nuove collaborazioni al suo albo, una migliore dell’altra. Sicuramente tra le novità spicca il pezzo portato con Fedez sul palco del Festival di Sanremo, ma anche riascoltare chicche come CHEYENNE o GANGE fa sempre piacere.

Traccia da non perdere: CATTIVE STELLE (ft. Vasco Brondi)

 

OneRepublic Human

Un album che sa d’estate, serate in spiaggia e tempi passati, complice la presenza di singoli pubblicati pre-pandemia. C’è sempre quel sottotesto di lezioni da trasmettere, di insegnamenti per il futuro conditi con un certo ottimismo. Sicuramente un album per dare la carica. 

Traccia da non perdere: Run

 

Lorde Solar Power

Un album che doveva mantecare, infatti è stato rivalutato dopo parecchio tempo dal primo ascolto. Lorde non è più la stessa di Melodrama e forse è meglio così, sia per lei che per noi, che non possiamo sempre uscire con il cuore spezzato dopo aver ascoltato i suoi dischi. Solar Power è indice di una pace ritrovata che traspare da (quasi) ogni nota

Traccia da non perdere: Stoned at the Nail Salon

 

Måneskin Teatro d’Ira Vol. I

La loro vittoria all’Eurovision Song Contest ha dato il via a quella che vorrei venisse raccontata ai posteri come la “Gloriosa Estate Sportiva del 2021”. Da relativamente outsider sul palco dell’Ariston a giocarsi una nomination ai Grammy Awards (non ottenuta ma pazienza), tutto nel giro di nove mesi. L’album che li ha consacrati sulla scena internazionale a tre anni da Il Ballo della Vita non poteva non rientrare nella mia Top 5. D’altronde, anch’io “c’ho vent’anni”… 

Traccia da non perdere: CORALINE

 

Honorable mentions 

Cara Calma Altalene – Primo singolo della triade rilasciata quest’anno. Aspetto il prossimo album come si aspetta Natale.

Giancane Strappati Lungo i Bordi – Una bellissima mazzata, esattamente come la serie per cui fa da sigla.

Imagine Dragons Wrecked – Un ottimo pezzo in un album (purtroppo) senza infamia e senza lode.

 

Francesca Di Salvatore

Strappare Lungo i Bordi

Attenzione: questo articolo contiene spoiler

Che cos’hanno in comune Xdono di Tiziano Ferro, Clandestino di Manu Chao e Non Abbiam Bisogno di Parole di Ron? 

All’apparenza niente, e soprattutto niente prima del 17 novembre. Poi Michele Rech, al secolo ZeroCalcare, ha deciso che era una buona idea posizionarle una dietro l’altra in quella che è l’unica opera in grado di mettere d’accordo tutto il paese dai tempi del compromesso storico: la serie animata Strappare Lungo i Bordi.

Dell’attesissima serie se ne sta parlando diffusamente, e – tranne qualche voce fuori dal coro sui social volutamente da bastian contrario – sempre con toni lusinghieri ed entusiasti, perché è oggettivamente un gran bel lavoro, frutto di una cura per i dettagli magistrale. E di conseguenza, altrettanto curata è la colonna sonora, eclettica e trasversale, talmente variegata da mettere anche lei d’accordo tutti, o quasi.

Partiamo dalle basi: esistono film in cui la colonna sonora a volte sembra quasi estranea. Magari decontestualizzata non sarebbe neanche malvagia, ma lì, in quella specifica situazione, in qualche modo stona. Qui invece, in sei episodi per un totale di un’ora e mezza, non c’è una nota fuori posto. Anche la giustapposizione fra Clandestino e Xdono per andare a descrivere i decisamente diversi input musicali di un adolescente nel 2001, per quanto suoni strana e faccia pensare “ma che c’azzecca Manu Chao con Tiziano Ferro”, funziona come la voce di Valerio Mastandrea sull’Armadillo, e cioè alla perfezione.

E poi c’è la varietà. Momenti accompagnati dal pop più ballabile a cui possiate pensare accanto ad altri in cui invece è la base strumentale a fare da padrona, lasciandosi avvicinare solo da qualche rara parola, come nel caso di Wait degli M83. Canzoni nazional-popolari vicine ad altre più ricercate, meno note sulla scena italiana, una su tutte Haut Les Coeurs del collettivo francese Fauve. Più che una canzone sembra quasi un discorso messo su una base; un ritmo incalzante fino a diventare ansiogeno, che poi si stabilizza nel ritornello e invita alla speranza molto più di quanto ci si aspettasse. Nonostante non sia nell’ultimo episodio, questo pezzo del 2013 riassume benissimo, a mio parere, il senso della serie.

“Tu vois, moi aussi j’ai peur, j’ai peur en permanence (Vedi, anch’io ho paura, ho paura in continuazione)
Qu’on m’annonce une catastrophe (che mi venga annunciata una catastrofe)
Ou qu’on m’appelle des urgences (che mi chiamino dal pronto soccorso)
Mais on a la chance d’être ensemble, tous les deux (ma abbiamo la fortuna di essere insieme, noi due)
De s’être trouvés, c’est déjà prodigieux” (di esserci trovati, ed è già un miracolo)

Bisogna poi parlare nello specifico di due pezzi. Il primo è ovviamente la sigla, Strappati Lungo i Bordi, realizzata ad hoc da Giancane. È una canzone potente, che ti si appiccica in testa e non ne vuole sapere di andare via. È una canzone che ti fa sentire giovane ma non incompleto, e mi perdonerà il Signor Italo Calvino, perché a suo modo ti fa sentire parte di un qualcosa e soprattutto ti fa sentire compreso, come se dicesse “Tranquillo che ce sta qualcun altro su ‘sta barca”. Anche altri pezzi strumentali apparsi nella serie sono stati curati da Giancane, che già aveva prestato a ZeroCalcare la sua Ipocondria per i video usciti durante il periodo del primo lockdown, a conferma di come questa collaborazione sia ormai già ben collaudata e fruttuosa.

L’altro pezzo che merita una menzione speciale è The Funeral dei Band of Horses, o come ormai può essere definito, dato il suo utilizzo nel mondo cinematografico e televisivo, “il colpo di grazia”. Fin dalle prime note, chi la conosce può presagire che stanno per arrivare le lacrime, ma in realtà è una canzone così eloquente che può intuirlo anche chi invece non ha familiarità. Ed è proprio questa eloquenza, questo quasi invitarti a piangere con i suoi silenzi e i suoi cambi di intensità studiati, che la rende perfetta per il commoventissimo finale della serie. 

Proprio come la voce dell’Armadillo.

 

Francesca di Salvatore

I Fast Animals and Slow Kids tra passato, presente e futuro

Con già dieci anni di carriera alle spalle, tornano i Fast Animals and Slow Kids con il loro ultimo lavoro, dal titolo È Già Domani. Abbiamo fatto due chiacchiere per parlare del nuovo disco, del tour appena concluso e soprattutto di tempo che scorre. 

 

Ciao ragazzi e grazie per quest’intervista. Avete appena finito il vostro primo tour dell’era post Covid. Come vi sentite, com’è stato?

Aimone: “Noi stiamo bene. È un momento in cui ci sembra che tutto stia tornando ad una sorta di normalità, dato che abbiamo appunto fatto un tour e adesso sta per uscire un nuovo disco, quindi sembra veramente che la vita stia tornando alla normalità, anche se ci rendiamo conto che non è proprio del tutto così. Per quanto riguarda il tour, è andato davvero bene. Abbiamo fatto questo tour in acustico dove ci siamo confrontati con una nuova modalità di musica e, nonostante all’inizio fossimo un po’ spaventati, nel corso del tempo ci abbiamo preso la mano e ci è piaciuto moltissimo. È stato un concerto intimo, di confronto, di chiacchiera… Abbiamo raccontato la storia di questi ultimi dieci anni di musica in giro per l’Italia. È stato davvero emozionante e anche i feedback sono stati positivi. Dopo due anni di ‘stop’ ci ha fatto molto bene, sia all’umore che alla testa.

 

Parlando invece del nuovo disco, in È Già Domani fin dal titolo torna un tema per voi piuttosto ricorrente, ovvero il tempo. Come mai questo titolo? E qual è il vostro rapporto col futuro?

Alessio: “Le due risposte sono legate.”

Aimone: “Sì, sono decisamente legate. È Già Domani è un titolo che mette in relazione da una parte il tempo che scorre e dall’altra il fatto che non facciamo altro che farlo scorrere più velocemente. Ci troviamo in una condizione — e questo ci sembra un po’ anche il leitmotiv del disco — in cui presente e futuro si sono estremamente avvicinati, quasi a fondersi. Tutto ciò che facciamo adesso è in proiezione di qualcosa che saremo tra cinque minuti, tra due ore, tra sei anni… E se da una parte questa cosa è bella perché spinge a fare qualcosa di migliorativo, a essere ogni giorno qualcosa di diverso e a crescere, dall’altro lato vivi anche una sorta di pressione perché quello che sei in quell’istante non è altro che qualcosa che dovrai essere dopo. È come se non riuscissimo più a vivere questo presente staccandolo completamente dall’idea di noi stessi tra qualche tempo. Il disco si muove in questo dualismo e lascia tante domande aperte, il che è un’altra sua particolarità. Ci sono domande a cui non diamo risposta, mentre normalmente chiudevamo un pezzo in se stesso, come se fosse un monolite. In questo caso invece i pezzi rimangono ‘eterei’ dal punto di vista delle tematiche. Inoltre, un’altra particolarità di È Già Domani che ci piace molto è che nel titolo mettiamo insieme un po’ di presente, un po’ di passato e un po’ di futuro: ‘è’ il presente, ‘già’ il passato e ‘domani’ il futuro. Ci piaceva filosofeggiare un po’ con questa visione di fondo.”

 

In questo album compare anche il vostro primo feat, Cosa ci direbbe con Willie Peyote. Com’è nata l’idea di collaborare?

Aimone: “Mentre stavamo scrivendo questa canzone ci siamo resi conto che c’era una parte in cui ci stava una spiegazione più concreta, più specifica. Volevamo che ci fosse una variazione perché ci sembrava quasi incompleta. Questa sensazione prettamente artistica, unita ai due anni di isolamento e distanza, ci ha portato a dire ‘okay, collaboriamo con qualcun altro’. E questo qualcun altro doveva essere una persona che ci capisse bene, un amico a cui avremmo potuto spiegare il testo in onestà, che avrebbe capito il nostro punto di vista e che avesse a sua volta un punto di vista che noi potessimo capire. Qualcuno con cui parlassimo ‘la stessa lingua’, insomma. Abbiamo chiesto a Willie perché lo stimiamo da un punto di vista artistico, quindi sapevamo che potevamo fare qualcosa di figo, e perché è un amico. Possiamo avere una conversazione reale, parlare di qualsiasi cosa e per noi era importante dato che, se ci deve essere il primo feat, deve essere una cosa dove ‘cadi in piedi’. È una prassi che si usa spesso in musica, ma noi non l’avevamo mai fatta. Fatta così, però, è una cosa che rifaremmo volentieri. È andata bene e siamo molto contenti.”

 

Fask interview

 

Quando è uscito Animali Notturni aleggiava un po’ la critica che “non foste più gli stessi di Hybris e di Alaska“. Come avete reagito?

Aimone: “Ma è vero! Noi non siamo più gli stessi di Hybris e Alaska, ma non siamo più gli stessi nemmeno di Animali Notturni. Io non sono più lo stesso di ieri! Abbiamo sempre fatto quello che era nelle nostre quattro teste, quindi, se esiste una coerenza, esiste una nostra coerenza interna che consiste nell’essere rappresentativi di noi stessi ogni volta che scriviamo qualcosa. Secondo me è molto più facile per un artista mantenere la stessa cifra stilistica una volta trovata una certa forma, così da non tradire mai nessuno. In realtà per noi non funziona così, perché la musica è troppo importante e soprattutto salva le nostre vite, quindi essere disonesti e fare qualcosa che non è più nelle nostre corde sarebbe peggio di sperimentare e provare a fare cose che invece sentiamo più nostre, sta tutto lì… Poi in generale c’è sempre una possibile critica per ogni disco che esce, ma abbiamo imparato a non ascoltarle nel corso di questi dieci anni. Le uniche che ascoltiamo sono le critiche interne: se uno di noi critica qualcosa di un pezzo vuol dire che non gli piace e se non gli piace è un problema. Già dobbiamo trovare una sintesi tra le nostre teste, ed è complessissimo così. Se in più dovessimo ascoltare anche le teste degli altri diventerebbe un inferno. Poi siamo persone che pensano molto alle cose, ragioniamo mille volte su quello che ci viene detto, quindi abbiamo deciso di concentrarci su un’unica coerenza, che è la nostra: quella di quattro persone che hanno cominciato a fare musica insieme dieci anni fa e sono amiche da una vita.”

 

In È Già Domani ci sono canzoni molto diverse tra loro, sia per sound che per testi. Metterle insieme è stata una scelta più ragionata o più casuale?

Aimone: “Molto ragionata. È Già Domani è un disco estremamente ‘cosciente’, nel senso che abbiamo avuto molto tempo per pensare, ripensare e scrivere i testi e questa forse è anche una differenza con i dischi precedenti tranne il primo. Le canzoni che abbiamo selezionato sono partiti da una scrematura magari di 40 pezzi. Con tanto tempo, ci siamo trovati di fronte a questi pezzi e li abbiamo riascoltati mille volte, parlando sia di testi che di arrangiamenti. Anche la scaletta, l’artwork, tutto è estremamente ragionato in modo che questo disco fosse concreto e rappresentativo di noi stessi.”

 

A novembre sono dieci anni da Cavalli. Se poteste tornare indietro nel tempo e incontrare i FASK di quel periodo, c’è qualcosa che vorreste dir loro?

Aimone: “Direi loro di non lasciare il furgone fuori ad Arezzo quella sera perché è stato un bel trauma. Direi loro di non fare alcune date che abbiamo fatto…”

Alessandro: “Di non leggere le recensioni.”

Aimone: “Sì, di non leggere le recensioni del primo disco per non demoralizzarsi, anche se di fatto poi non ci siamo demoralizzati… Non lo so, io in realtà sono molto felice del percorso dei FASK, di quello che eravamo a 20 anni e di quello che siamo diventati adesso. È un percorso molto lineare, fatto con le persone con cui hai iniziato. Poi c’è sempre qualcosa da migliorare o da recriminare al te stesso più giovane…”

Alessio: “Probabilmente i FASK dell’inizio non sarebbero stati pronti a fare le scelte di adesso. Non potremmo nemmeno consigliare di fare prima un determinato passaggio. è tutto molto giusto e calato nel momento…”

Aimone: “Ah, e poi gli direi bravi per non aver mai cambiato membri della band, per aver sempre premiato questo senso di amicizia e di unità che ci fonda e ci tiene in piedi da tempo. C’è una sorta di scudo che abbiamo nei confronti di tutto questo.”

 

Francesca Di Salvatore

Fast Animals and Slow Kids “È Già Domani” (Woodworm/Believe, 2021)

Che dovessimo guardare oltre i tempi di Hybris e Alaska, i Fast Animals and Slow Kids ce l’avevano detto già con Animali Notturni: “Ma oggi / Ho trent’anni / Vorrei soltanto dire quello che mi va / Lo so, ti parrà strano / Ma in fondo questa è la mia nuova libertà”. E questa nuova libertà se la sono presa tutta anche nel loro ultimo album, dal titolo È Già Domani, e anticipato dai singoli Come un animale, Cosa ci direbbe (in collaborazione con il rapper torinese Willie Peyote) e Senza Deluderti. 

Continua quindi la svolta cominciata due anni fa sia nei suoni, non solo più leggeri ma anche più sperimentali, che nei testi. C’è meno rabbia e quello spazio è stato riempito da una vasta gamma di sentimenti diversi, a tratti anche contrastanti: da Stupida Canzone con la necessità di trovare il proprio posto nel mondo a Fratello mio che è un inno all’empatia e alla compassione (quelli che Milan Kundera definiva i “sentimenti più pesanti di tutti”) passando per Senza Deluderti, dove si mischiano le diverse sensazioni che si provano alla fine di una relazione. La profondità dei testi rimane quindi sempre la stessa e si riconferma il marchio di fabbrica della band perugina. 

Dodici tracce che sembrano quasi delle fotografie, delle istantanee di tanti momenti e quindi piuttosto diverse tra loro. Sono canzoni che non solo si ascoltano, ma in qualche modo si guardano (passatemi la sinestesia): un esempio su tutti è Lago ad alta quota, che sembra sia stata scritta guardando esattamente le immagini che descrive, come la cena in solitudine, il lago di montagna o la persona che si arrovella davanti a uno specchio. 

È dunque un album concreto, dove tutto è visibile – a volte anche le metafore — e di conseguenza risulta piuttosto facile immedesimarsi in questo o quel verso, sia che si parli di calzini spaiati collezionati nel letto che più ampiamente e genericamente di insoddisfazione. Però non manca la poesia, nemmeno quella con la P maiuscola, quella di Pavese o di De André che fa capolino in Senza Deluderti e in Rave.

Non mancano poi i riferimenti al tempo, che è un po’ una costante della loro discografia, soprattutto al fatto di non averne e cercarne sempre di più, in continuazione. Riferimenti che si potevano scorgere fin dal titolo del disco nonché della prima traccia È Già Domani, una canzone quasi acustica che guarda prima un po’ indietro per poi prepararsi a guardare avanti e che crea una sorta di cerchio con la coda dell’album, È già domani ora.

Insomma, l’ultima fatica dei FASK è un disco che ricorda vagamente un quadro impressionista (continuo con le sinestesie), con tante immagini diverse, a volte un po’ fumose e poco nette, che vanno a creare un quadro che bisogna guardare da lontano per capire e incastrare bene i pezzi. 

Fuor di metafora, bisogna dargli più tempo di un solo ascolto prima di poter esprimere giudizi. Lasciatelo sedimentare per bene, in qualche modo troverà un’immagine con cui parlarvi.

 

Fast Animals and Slow Kids

È Già Domani

Woodworm/Believe

 

Francesca Di Salvatore

Liz Lawrence “The Avalanche” (Second Breakfast/Kartel Music Group, 2021)

Prendete una voce alla Florence Welch, dei testi a tratti criptici, a tratti che ricordano una Lorde prima della svolta zen di Solar Power e delle basi dance che sono un tuffo da medaglia d’oro olimpica negli anni 80. Fatto? Si potrebbe pensare ad un calderone di cose poco omogenee che cozzano tra loro e invece, in The Avalanche di Liz Lawrence, questo bizzarro e originale mix funziona.

A primo impatto, però, questo album è anche una sorpresa continua: si parte con Down For Fun, che ha tutta l’aria di essere una lettera alla se stessa adolescente infilata in una busta di musica pop-dance e un’estetica fatta di colori saturi per non cedere alla nostalgia facile.

Canzone dopo canzone, il mood del disco sembra delinearsi su questa via, ma nel momento in cui ti sembra di averlo capito, arriva la canzone che non ti aspetti, quella così diversa da dover rivedere il giudizio. Con Violent Speed e la sua intro di percussioni, per un minuto e 54 si esce di colpo dagli anni 80. I suoni si fanno meno elettronici e l’atmosfera più struggente, ma all’improvviso la canzone finisce, quasi come se fosse tagliata a metà, e si ritorna al sound precedente con Where The Bodies Are Buried. 

Allora il viaggio prosegue ancora, tra suoni distorti, saturazione e l’intensa voce di Liz Lawrence a fare da contrappeso. E poi, di nuovo all’improvviso, a sorpresa tra un sintetizzatore e l’altro, arriva Birds e la sua base in cui si sentono i canti degli uccellini a fare compagnia alla voce della cantante. 

Ma lo stato di natura dura giusto il tempo di una canzone, perché il finale con The Avalanche riprende il fil rouge della pop-dance dell’inizio del disco. È forse anche la canzone più realmente ballabile di tutto il disco: il degno finale di questo tuffo negli anni 80.

E come per qualsiasi cosa che arrivi da questo decennio, mentre lo si ascolta, qualsiasi cosa si faccia, è impossibile stare fermi.

 

Liz Lawrence

The Avalanche

Second Breakfast/Kartel Music Group

 

Francesca Di Salvatore

The Zen Circus @ Dumbo & Arena del Mare

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

• The Zen Circus •

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_empty_space][vc_column_text]

Dumbo, Bologna // 13 Luglio 2021

Arena del Mare, Genova // 14 Luglio 2021

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]Per poter parlare di questo concerto bisogna prima fare un passo indietro a due anni fa, quando la virologia ancora non era comune argomento di conversazione e i live si potevano vedere gli uni appiccicati agli altri. Quello a luglio 2019 non è stato il mio ultimo concerto dell’era pre-covid, ma è stata sicuramente l’ultima volta in cui ho messo piede in un’Arena del Mare bardata a festa, per così dire. Appena entrati dal cancello assale quindi una punta di nostalgia: si sa che non sarà quello a cui siamo abituati, però, dopo un anno e mezzo di astinenza da live, le mascherine e le sedie non sembrano un impedimento poi così grande. 

A fare gli onori di casa ci pensano i Balto, giovane band romagnola che era tanto felice di calcare un palcoscenico quanto noi spettatori di vedere finalmente della musica dal vivo. Le loro canzoni, da Preghiera della Sera a Mac Baren, sono romantiche e malinconiche, ma con delle basi piuttosto movimentate e tanta, tantissima chitarra. Già dalla loro apertura si era capito che in questo concerto il “fattore umano” sarebbe stato in qualche modo più presente del solito, perché il fatto di tornare a suonare davanti a tanta gente – cosa non affatto scontata fino a qualche mese fa – sembrava di per sé un piccolo miracolo da tenersi stretto e condividere con il pubblico. 

La stessa sensazione di umanità si percepiva anche con gli Zen Circus, che sembrava fossero davvero tornati a casa, nella loro dimensione naturale. E si vedeva che gli era mancata, questa dimensione. Era come se avessero appena incontrato quell’amico di una vita che non vedevano da tempo, quello a cui vuoi tutto il bene del mondo e che conosci così bene da non avere bisogno di cedere al sentimentalismo. Così gli Zen Circus non tradiscono la loro natura, forse un po’ cinica ma sicuramente autentica e reale. Mai avevo visto un cantante dire al pubblico “lo sapete che siamo un po’ delle merde” e mai avevo visto un pubblico così complice con la battuta da mandarsi a fanculo da soli prima di intonare Andate tutti a fanculo. 

Lo stesso rapporto scanzonato ma complice non c’è solo tra la band e il pubblico, ma anche tra i membri stessi della band: i siparietti tra Appino e Ufo ad intervallare le canzoni hanno dato un ulteriore tocco di leggerezza, come quando il cantante ha dedicato al bassista la loro Figlio di puttana. 

Ma se c’è una cosa che caratterizza perfettamente gli Zen Circus è la versatilità, che durante i live si manifesta nella velocità con cui snocciolano una dietro l’altra le canzoni più diverse, tratte sia da album storici che da altri più nuovi, primo fra tutti il loro ultimo lavoro L’Ultima Casa Accogliente. Si è passato quindi da un dal momento più divertente a quello più coinvolgente sul piano emotivo. Dall’intro con Non si va a Non Voglio Ballare, che ha reso parecchio difficile per noi pubblico non rompere le righe in cui ci avevano chiesto di stare; dopo i toni più politici di Bestia Rara si passa a L’Amore è una dittatura, eseguita in una veste nuova rispetto a quella che avevamo visto al Festival di Sanremo due anni fa. Solo voce, tastiera e fagotto, per quella che è stata l’esibizione più teatrale e forse anche più emozionante dell’intero concerto. Per quattro minuti Appino si è spogliato dei panni del cantante e ha indossato quelli dell’attore, il che gli è riuscito incredibilmente bene. 

Anche il finale è stato un binomio di versatilità, con quella poesia che è L’anima non conta seguita da Viva, richiesta a gran voce da tutto il pubblico e cantata fino alla fine.

Insomma, Appino aveva esordito dicendo che, nonostante tutto, durante il concerto niente sarebbe cambiato e hanno decisamente mantenuto la promessa.

[/vc_column_text][vc_empty_space][vc_column_text]Report (Genova): Francesca Di Salvatore

Foto (Bologna): Alessandra Cavicchi

[/vc_column_text][vc_empty_space][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685645808{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”20291″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685686606{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”20290″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”20292″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685645808{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”20294″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685645808{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”20287″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685686606{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”20286″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”20289″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685686606{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”20293″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”20288″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row]

Sanremo 2021: Apologia di un Festival

Disclaimer: in questo articolo si parlerà solo di musica. Eviterò quindi i riferimenti a siparietti, politica e monologhi vari su qualsiasi questione perché non è questa la sede.

 

“Non credo di esser superiore/anche io guardo Sanremo” cantavano nel 2011 gli Zen Circus ne I Qualunquisti, una canzone che come poche riassume l’essenza del nostro paese. Ed è vero, perché ogni anno questo concentrato di italianità in mondovisione (e viene anche omaggiato in tutto il mondo) tocca vette altissime di share e unisce un’intera nazione sotto il segno della ballad. 

Ma c’è un però.

Da qualche anno a questa parte, infatti, il “genere Sanremo” è andato in crisi. Un genere che ha dei canoni ben precisi e sono convinta che tutti voi, sentendo questa parola, abbiate già in mente un tipo di canzone in particolare. È quindi per questo che la kermesse sta spopolando sempre di più nella fascia 18-25 — basta farsi un giro su Twitter per rendersene conto — contro qualsiasi pronostico. 

Da un lato abbiamo il tentativo, quest’anno più forte che mai, di svecchiare il festival con artisti giovani, freschi, usciti spesso e volentieri da club e locali vari. Nomi come Fulminacci, Madame, La Rappresentante Di Lista, Coma_Cose che, al momento della presentazione dei cantanti in gara a Dicembre, hanno piacevolmente sorpreso me e lasciato un po’ sbigottita mia madre, che invece continuava a chiedersi chi fossero. 

Il target è cambiato, e di conseguenza anche la musica è cambiata. Certo, non possiamo prescindere del tutto dalla quota “Tipica Canzone Sanremese”, ovviamente presente e apprezzata in particolare dalla giuria demoscopica, ma c’è anche stata varietà. L’egemonia culturale della ballad è stata sconfitta e i premi assegnati sono uno specchio di questo cambiamento: non a caso abbiamo avuto miglior testo a Madame (così come lo vinse Rancore lo scorso anno, uno dei primi a portare il rap all’Ariston), ma soprattutto dobbiamo parlare dei vincitori. 

I Måneskin.

Possono piacere o no piacere (io personalmente ho la loro canzone a rotazione da martedì) ma è innegabile che siano dei performer clamorosi. Nel 2016 aprirono gli Imagine Dragons al Milano Rocks davanti a 60.000 persone, sotto un diluvio universale, e tennero il palco come se lo facessero da tutta una vita. Sono spavaldi, energici, sopra le righe e forse non saranno una rivoluzione nel panorama mondiale della musica, ma per il Festival sicuramente lo sono, quindi la loro vittoria può solo che farmi piacere (e darmi speranza per l’Eurovision di maggio).

Insomma, è stata premiata una band che fa un genere che non ha niente a che vedere con lo standard festivaliero, in cui il cantante è classe ‘99 (ha la mia età e qui devo ripetermi: il target è cambiato, la rappresentazione è cambiata con buona pace di chi si lamenta) e che durante la serata cover si è esibita con Manuel Agnelli, quindi se lui ci vede qualcosa, chi sono io per negarlo.

Ma non è solo lo svecchiamento della scaletta a far sì che a 21 anni qualcuno pensi che sia una buona idea fare nottata per seguire Sanremo. 

Perché Sanremo, come tutta la TV da qualche anno, sa che lo show (sì, lo show, perché non dimentichiamoci che non c’è solo la musica in ballo, ma è un evento di portata mondiale) non lo fai soltanto in televisione, ma anche e soprattutto su internet. 

Guardare il Festival — o per i più assennati solo le performance il giorno dopo, riducendo così i tempi di un terzo — significa avere accesso alla quantità stratosferica di meme, video e in generale contenuti prodotti sul web. Insomma, senza aver visto la performance di Aiello della prima sera, il video in cui il suo pezzo è stato ridoppiato con la voce del signore di “signora i limoni” perde di significato e magia. 

E sono proprio i meme a far sì che anche le vecchie, vecchissime glorie — da Ornella Vanoni a Donatella Rettore passando per Orietta Berti (che sono sempre più convinta sia stata invitata per la quota meme e non per far piacere al vecchio pubblico target) — abbiano un seguito enorme e creino più interazioni di molti altri che invece non hanno lo stesso potenziale sfruttabile da internet.

Insomma, il Festival può piacere o meno, ma è anche vero che negli ultimi anni si sia ricreduto anche chi non avrebbe mai pensato di guardarlo perché “è sempre la stessa musica”.

E invece, fortunatamente, la musica sta cambiando. 

 

Francesca Di Salvatore

Foto di Copertina: Instagram @maneskinofficial

La ricetta degli Zen Circus tra ispirazione e coincidenza

Ad un mese dall’uscita del loro ultimo album, abbiamo avuto l’occasione di fare due chiacchiere con Ufo – al secolo Massimiliano Schiavelli – bassista degli Zen Circus, che ci ha parlato de L’Ultima Casa Accogliente, ma anche di carriera e di Ritorno al Futuro.

 

Ciao e grazie per averci concesso quest’intervista! Iniziamo parlando del vostro ultimo lavoro, L’Ultima Casa Accogliente. Avete detto che è un album a cui siete molto affezionati, ma anche che è il vostro disco “meno pensato”. Cosa intendete?

“Siamo senza dubbio molto legati a questo nostro ultimo lavoro, anche per il processo di creazione che c’è dietro. Nasce da un nucleo di brani che avevamo arrangiato a un certo livello già a febbraio scorso e che fortunatamente avevamo avuto modo di “testare” in sala prove, buttando giù dei provini in piena libertà, senza scadenze o preconcetti. Questa occasione è stata fortunatissima, perché a lockdown iniziato avevamo già delle cartelle, dei progetti su cui rimuginare aspettando di poterci riunire nuovamente. Ne è risultato un lavoro a due facce: da un lato è più “ponderato” proprio perché ci siamo presi tutto il tempo necessario per digerire gli spunti e arrangiare ogni cosa, dall’altro è meno pensato nella misura in cui abbiamo seguito l’istinto nel produrlo senza pensare mai al fatto (per dire) che il tal brano fosse troppo acustico, troppo poco acustico, troppo “stile Zen” o troppo poco, o avesse una durata non adatta ai passaggi radio, eccetera.

L’attenzione è stata sulla produzione e l’arrangiamento, suonando i brani come una band e non come un insieme di musicisti chiusi in studio a fare parti predeterminate, se intendi cosa voglio dire. Ci siamo detti in certi momenti “e se la gente non riconoscesse il sound o lo stile di questo brano?” E la risposta era invariabilmente: “che importa?” 

Al momento di ripartire con la registrazione definitiva, Karim è andato al Fonoprint Studio di Bologna (tra regioni non ci si poteva ancora muovere) e ha suonato i brani come se li era immaginati lui, andando avanti o dietro al beat come si sentiva che fosse giusto. Noi da Livorno seguivamo in tempo reale tutto e ci suonavamo sopra. Paradossale, ma ne è risultato appunto un lavoro ragionato ma allo stesso tempo spontaneo. Miracoli dell’era Covid, chissà…”

 

C’è una canzone dell’album che mi ha colpito in particolare, 2050, che sembra quasi la versione futura e post-apocalittica di Viva. Com’è nata l’idea dietro?

“La storia di 2050 è, se si può dire, in tre parti. Avevamo questa traccia strumentale che pareva promettente, ma che aveva qualcosa di irrisolto a livello di giro di accordi e ci ha costretto a riflettere un pochetto. Poi non abbiamo riflettuto più, perché c’è stato un mio casuale intervento in sala prove (è molto probabile che avessi capito fischi per fiaschi e abbia messo una nota a caso) che ci ha fatto ripartire per dare al brano la forma musicale che ha adesso. A seguire Appino ha vomitato il testo tutt’un fiato, non si sa come, e l’abbiamo trovato subito interessantissimo, sembrava un condensato di tante paranoie e riflessioni che avevamo in comune.

Nella terza fase ci siamo accorti che la canzone non aveva un titolo, nemmeno provvisorio. A quel punto ho sparato una data a caso, che gli altri hanno subito approvato. In buona sostanza, un ennesimo prodotto Zen, metà ispirazione metà coincidenza.”

 

Se doveste scegliere una sola canzone della vostra discografia per descrivervi, presentarvi a qualcuno che non ha mai sentito parlare degli Zen Circus, quale sarebbe e perché?

“Questa è una domanda sleale per una band all’undicesimo disco! Scherzi a parte, ma mantenendo per vero che queste canzoni sono un po’ tutte figlie amatissime, e dar loro una priorità è un esercizio difficilissimo, opterei per L’Anima Non Conta, scelta invero paraculissima perché è oggettivamente uno di quei brani che è capitato in un modo o nell’altro fra gli ascolti di persone che non sapevano chi fossimo. Cosa del resto capitata anche a Viva, ma forse in minor misura.”

 

Con vent’anni di carriera alle spalle, la vostra musica è diventata decisamente intergenerazionale: come vi fa sentire sapere di arrivare ad un pubblico così ampio e soprattutto così diversificato?

“Ci fa sentire vecchi in prima battuta. Poi a ripensarci ci fa sentire fortunati. E una cosa compensa l’altra.”

 

L’anno scorso è stato parecchio importante per gli Zen Circus: i vent’anni di carriera, i dieci di Andate Tutti Affanculo, il libro e il festival di Sanremo. C’è qualcosa che vorreste dire oggi ai ragazzi del romanzo?

“Se incontrassi il “me” del romanzo ancora ragazzo, ho la netta sensazione (anche perché ci avevo riflettuto su questa eventualità) che non gli direi proprio nulla. Gli farei fare e dire tutto quello che ha fatto e detto, e gli lascerei tranquillamente l’opzione di darsi tutte quelle zappate nei piedi, perché è giusto che sia così. Sembra scontato, ma, soprattutto nel caso nostro, gli errori, gli svarioni, le esaltazioni insensate e le severe lezioni della vita hanno un loro senso fondante che ha reso unica e peculiare la nostra picaresca scalata al successo (!). E poi bisogna tenere a mente che già Marty McFly ha dimostrato ampiamente che col passato non si scherza…”

 

Francesca Di Salvatore

Vianney e il suo invito a non aspettare

Classe 1991, tre dischi all’attivo e numerosi premi che l’hanno reso uno degli artisti più apprezzati d’Oltralpe: abbiamo fatto due chiacchiere con Vianney, fenomeno francese del pop, dove abbiamo parlato del suo ultimo album, di semplicità e dell’importanza del fallimento.

 

Ciao! Grazie per averci concesso quest’intervista!
“Ciao! Grazie a voi!”

Parlaci del tuo nuovo album, N’attendons pas. Com’è nato questo progetto e come mai hai deciso di pubblicarlo in questo periodo così difficile per il mondo della musica in generale?
“Ho registrato l’album tra febbraio e settembre, da solo, nel mio piccolo studio casalingo. Più registravo le canzoni e più la situazione sanitaria ed economica diventava complicata. Una canzone del disco si chiamava N’attendons pas e ho pensato che fosse davvero la cosa migliore che potessi dire in questo periodo difficile. Allora è diventato il nome dell’album. “N’attendons pas” significa “non aspettiamo”. A vivere, ad amare, ad abbracciare le nostre passioni e i nostri progetti. Se non avessi fatto uscire l’album a causa della situazione così difficile, mi sarei tradito.”

C’è una canzone dell’album che mi ha colpito in modo particolare, J’ai essayé. È raro sentire una simile “apologia del fallimento”. Perché hai scelto questo tema?
“Credo che il fallimento sia molto prezioso. È allo stesso tempo ciò che ci permette di fare meglio la volta successiva o di farci rendere conto di non essere sulla strada giusta. Mi piace l’idea che i progetti più ambiziosi si costruiscano sui fallimenti.”

C’è una canzone di N’attendons pas a cui sei particolarmente legato?
“È la canzone che chiude il disco, Tout nu dans la neige, a cui sono molto legato perché parla del mio defunto nonno. Mi manca, ma è sempre presente, soprattutto per ciò che mi ha trasmesso: i suoi valori così semplici ma allo stesso tempo così belli.”

Sarai uno dei coach nella nuova edizione di The Voice France. Sei emozionato per questa esperienza?
“Sì, è un’esperienza incredibile! Abbiamo cominciato le riprese e concluso la parte delle audizioni al buio. Qui ho ritrovato il ruolo di produttore, il che mi rende estremamente felice. Dare consigli, guidare, ascoltare, parlare con persone appassionate… È la mia parte preferita di questo lavoro.”

In Francia sei uno degli artisti più acclamati. Con lo scorso album, Vianney, hai ottenuto un disco di diamante e sei in gara per vincere il premio di Artista Francofono dell’Anno agli NRJ Music Awards. Ti aspettavi questi risultati?
“Non mi aspetto mai niente. Per quanto mi riguarda, il mio scopo è mettere tutto il mio cuore e la mia passione quando scrivo o registro le canzoni. Sono le persone poi che scrivono il seguito e finora gli devo molto.”

Il mondo della musica è piuttosto complicato e complesso. C’è qualcosa che vorresti dire al Vianney che sta iniziando la sua carriera?
“Il piccolo Vianney ha fatto di sicuro molti errori, ma credeva fermamente nell’idea che l’impegno e la passione fossero le chiavi per raggiungere la felicità in questo lavoro! Allora lo incoraggerei a continuare su questa strada e gli augurerei di conservare il suo sguardo da bambino, di amare ogni giorno e ogni scoperta che fa e non smettere di stupirsi.”

 

Francesca Di Salvatore