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Tag: tre domande

Tre Domande a: 99paranoie

Come e quando è nato questo progetto?

Amnistia è nato a fine 2019, poco prima della pandemia, e l’ho chiuso a Maggio 2020. È una raccolta di brani che descrive il periodo antecendete: avevo lasciato l’università, chiuso My Name is Rose (il mio primo EP), avevo cominciato a lavorare e nel frattempo ero uscito da due relazioni.
È stato un periodo per me di profondo cambiamento. Questo cambiamento si sente sia confrontando Amnistia con My Name is Rose, ma ancor di più confrontando gli stessi brani di Amnistia. Il progetto spazia da brani RandB , a brani old-school, al soul acido e distorto più moderno. Ero ancora alla ricerca della mia identità. 

 

Come ti immagini il tuo primo concerto live post-pandemia?

Grazie a Dio non lo devo immaginare. Dopo la pandemia sono riuscito a suonare parecchio per gli standard a cui ero abituato. Sono riuscito a suonare all’Edonè di Bergamo, al Dumbo, al Covo di Bologna, al Bitter di Asola. È stato splendido, mi sono divertito un sacco e ho imparato tanto, ho vinto qualche insicurezza, ho suonato e conosciuto parecchie persone. Ma soprattutto ho imparato ad amare il palco. L’ultima data al Bitter in particolare, nella mia zona, mi ha veramente acceso e spronato a fare di meglio. Quando giochi in casa la barriera artista/pubblico non esiste, la gente non è li solo a vederti. La gente è li con te. Sono due cose molto diverse.

 

Quanto punti sui social per far conoscere il tuo lavoro?

Ora punto tanto. Attualmente sono in una fase di creazione del materiale per social, ovviamente legato a progetti futuri. Oggi come oggi sono la base di partenza, soprattutto per chi è nella mia stessa situazione. Per chi parte da zero sono imprescindibili. È importante però capire che contenuto portare e come connetterlo alla propria musica, perché troppo spesso si cade nel tentare di cavalcare l’onda. Non ha senso però cavalcare l’onda se non è la nostra. I social devono diventare un’estensione della nostra musica, e della nostra figura; sono risorse, e vanno sfruttate, in maniera consona all’artista.

Tre Domande a: Kaufman

Come state vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

In questi tempi è complicato fare musica e lo sappiamo. La cosa peggiore è probabilmente l’incertezza e il senso di precarietà che impedisce di ragionare su progetti con un orizzonte temporale più ampio: dischi, uscite, programmazione live. Però, forse proprio da questo nasce l’idea di Parkour, un doppio a qualche tempo di distanza uno dall’altro. Una visione di insieme che questa precarietà la raccontasse davvero, fatta di collaborazioni, coscritture, lavori insieme a diversi produttori, ma anche, nei testi, di racconti di rapporti messi a dura prova, sentimenti vissuti al doppio della velocità oppure con estrema lentezza.

 

Se doveste riassumere la vostra musica in tre parole, quali scegliereste e perché?

Pioggia, cuore e amore? Per parafrasare una vecchia canzone. Probabilmente potremmo dire che facciamo un pop malinconico, orecchiabile ed emotivo. Però autodefinirsi lo trovo sempre un po’ presuntuoso, in fondo le ragioni di chi scrive sono spesso molto diverse dalle ragioni di chi ascolta. Ed è molto bello che sia così, tra l’altro. Però “pioggia, cuore e amore” mi piace molto in realtà.

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Vorremmo fare arrivare delle immagini, a prescindere dal soggetto, che ovviamente varia da canzone a canzone. Delle polaroid, delle fotografie che riescano a fissare nel tempo un momento emotivo. La poesia c’è già in ogni angolo delle nostre vite, basta catturarla quando la si scorge. Un po’ come fare un quadro impressionista, prestando più attenzione alla scena e meno al dettaglio.

Tre Domande a: Lamo

Come e quando è nato questo progetto? 

I brani per come sono oggi ho iniziato a scriverli nel settembre del 2019, anche se già da anni mi esercitavo nella scrittura, alla ricerca del mio modo espressivo. Dopo un’infanzia a nutrirmi voracemente dei dischi che c’erano in casa (Beatles, Dalla, Battiato e tanti altri) crescendo ho sentito il forte richiamo alla scrittura, quasi un’esigenza viscerale, che però all’inizio si manifestava in maniera disordinata e scomposta, con molta autocritica e anche un po’ di vergogna. L’esperienza da musicista per altri artisti che amo, mi ha formata e mi ha aiutata a mettere insieme le parti di me che andavo cercando. Raffaele “Rabbo” Scogna è stata una figura fondamentale per riordinare e mettere a fuoco le idee, grazie al suo talento di polistrumentista e alla sua sensibilità umana e Federico Carillo una guida importantissima per portarle a termine, grazie al suo gusto e alla sua curiosità. 

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui ti ispiri per i tuoi pezzi? 

Più che “ispirarci” a degli artisti, per me ascoltare musica che mi gasa è un vero e proprio motore di adrenalina, che alimenta il desiderio di creare. Quando ascolto musica, ciò che mi soddisfa e mi da gioia è sentire un’autenticità che si manifesta. Dei progetti contemporanei amo la spontaneità dei ComaCose, la visceralità e l’umiltà di Blanco, l’umanità è la profondità di Brunori sas, la poeticità di Lucio Corsi, la classe di Ditonellapiaga, la delicatezza di Tricarico. Dall’estero in questi ultimi due anni sono stata folgorata dallo stile e il sound di Noga Erez, l’originalità di Rosalía. Poi ci sono mille altri artisti che adoro, dai più classici e storici ai più sperimentali e psichedelici ma sarebbe impossibile elencarli tutti. 

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta? 

Il punto di arrivo per me è appunto essere in grado di esprimere me stessa senza fronzoli, far arrivare la mia autenticità che possa piacere o meno, ma che sia qualcosa che mi appartenga davvero. Mi rendo conto che è un percorso di ricerca continua, ma vedo che man mano continuo a scrivere, man mano si aggiunge un tassello, quindi spero che il mio primo disco che uscirà nel 2022 per Sound to be, possa essere un quadro ben rappresentativo del mio modo di osservare il mondo. In una società che tende ad omologarci, credo che l’atto più rivoluzionario sia riuscire ad esprimere tutti le nostre diverse sensibilità per arricchirci a vicenda.

Tre Domande a: Boccanegra

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Gli argomenti che affronto nelle mie canzoni dipendono dal periodo e dallo stato d’animo associato ad esso. Non mi è mai successo da quando ho iniziato a scrivere di pensare: “Ah, come vorrei che un potenziale ascoltatore o ascoltatrice provi questo mentre ascolta questa parte del pezzo!”. Le canzoni, così come le poesie e le opere d’arte visive, sono spesso frutto di un tentativo non ragionato di cogliere un qualcosa di inatteso e temporaneo che ci passa davanti agli occhi: nel mio caso in particolare, quello che faccio è semplicemente cercare di riportare in maniera fedele sulla carta, sulla chitarra o su Ableton la mia visione di quel particolare momento, che essa sia densa di sentimento o si tratti di una semplice descrizione. Certo, la fantasia va allenata e può capitare che una creazione richieda del ragionamento per arrivare a maturità (in fase di produzione in studio per esempio); ma senza un margine di libertà e irrazionalità iniziale è difficile che un’idea originale prenda forma.
C’è poi un altro punto che è sempre importante ricordare, cioè che la musica si fa sempre in due, autore e ascoltatore. Ascoltando il testo di una canzone cerchiamo spesso di forzare sentimenti o pensieri al suo interno, è una maniera per sentirci compresi. Non è da escludere però che magari l’autore in testa aveva un’idea completamente diversa! Quando ero pischello e scrivevo per il gruppo (i Boccanegra) avevo il mito del brit-rock e i testi, per come li avevo io nella mia testa di adolescente, mi facevano sentire il più cool dei bad boys di Sheffield che faceva pogare tutto alle feste del liceo: se oggi risento Zucchero Candito e i vecchi pezzi, invece, ritrovo aspetti sensibili che al tempo non ero in grado di cogliere perché pensavo che altre cose saltassero di più all’orecchio.
Tuttavia, se volete, un elemento accomuna tutto quello che ho prodotto finora: il tentativo di parlare direttamente all’ascoltatore e di fare in modo che la mia musica sia per lui o per lei un amica fedele capace di mostrare una verità liberatoria e ordinata.

 

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

Durante il lockdown sono diventato un grande seguace di Tutti Fenomeni. Ha delle super trovate dal punto di vista lirico e contenutistico: in un panorama di sonorità synth già logore dopo pochi anni di musica indie e di testi copincollati sulla depressione della vita post universitaria, ho trovato i suoi pezzi una boccata di aria fresca. L’ambiente musicale di provenienza è completamente diverso dal mio, ma lo sento molto vicino per una serie di cose: dalla critica diretta priva di retorica ad alcuni aspetti della contemporaneità alla capacità di dipingere in poche parole situazioni ed atmosfere. Entrambi concordiamo sul fatto che “mediocri governano la nostra estetica”: Giorgio reagisce con un flusso di coscienza fatto di battute limpide e dritte nei denti, io ci provo con la narrazione e con la trama. Per questi motivi mi ci sono avvicinato: molti sostengono che ci assomigliamo pure, chi lo sa magari è mio fratello.

 

Quanto punti sui social per far conoscere il tuo lavoro?

Non particolarmente, anche se mi diverte molto. In verità, postare e fare storie sui social è anche un bel passatempo, me ne sono reso conto standoci in maniera più strutturata in corrispondenza dell’uscita del Gorilla. Tuttavia, aderisco più alla “vecchia scuola” per cui un artista forma se stesso e il pubblico principalmente in live. È sul palco, al parco, alle feste e nei contesti sociali in cui si creano le connessioni e si cresce con la propria musica. Il social è una bella vetrina per fomentare l’hype, ricordare chi sei a chi ti ha visto dal vivo e per mostrare a tutti la propria attività: richiede tanto tempo oltre che una certa inclinazione caratteriale perché ci possa essere piena integrazione tra avatar sulla rete e vita reale. Ormai è qualcosa da cui non si può prescindere, per cui è diventata una necessità, a meno di scelte radicali (comprensibili), trovare una posizione non invasiva dei social nel nostro quotidiano. 

 

Tre Domande a: MileSound Bass

Come e quando è nato questo progetto?

Il progetto MileSound Bass è nato timidamente nel 2004 quando con gli amici ci siamo appassionati spasmodicamente al mondo dell’hip hop. In quegli anni i concerti erano nei centri sociali o simili, li frequentavamo praticamente sempre. Poco dopo abbiamo cominciato a produrre beat e a scrivere rime.
Col passare degli anni mi sono avvicinato alla drum and bass che mi ha anche travolto quando sono stato un paio di mesi a Londra nel 2009. Era letteralmente ovunque.
Ho cominciato a produrla e con il mio socio SoulSwitch On e per qualche anno abbiamo cominciato a fare dei live mischiando la dnb con il rap e in seguito unendo anche la dubstep. Il nostro nome era UFO prjct.
Nello stesso periodo suonavamo anche con Charly e Gome Zeta (Gomez) mischiando diverse sonorità, elettroniche e rap, chiamandoci Fahrenheit 451 crew. Portavamo dei libri da regalare, anziché da bruciare.
Ho sempre fatto tutto da autodidatta ma nel 2011, approfittando della pausa forzata tra la laurea triennale e l’attesa per l’inizio dei corsi per la laurea magistrale, ho frequentato per qualche mese un corso sulla produzione della musica elettronica in SAE Milano. Pian piano ho fatto uscire un primo disco che racchiudeva elettronica, drum and bass, dubstep e rap. In quel periodo ero matto per questa musica e Milano suonavano dnb spessissimo.
L’anno dopo, nel 2012, è seguito Gates To The Unknown EP, principalmente dubstep unita all’IDM e glitch avevo nel frattempo cominciato ad ascoltare massicciamente. Da questo momento ogni mia produzione futura è stata caratterizzata da questo mondo. È stato amore a primo ascolto.
L’anno successivo ho pubblicato un disco ancora legato alla drum and bass e per l’ultima volta dubstep ma – appunto – totalmente in chiave IDM/glitch: ALL BORN MAD, some remain so. Ho suonato il disco in giro per l’Italia ma purtroppo dopo un live a Genova mi sono stati rubati tutti gli strumenti e hardisk con molte tracce inedite. Per qualche anno non ho più potuto suonare in giro.
Ho colto la forzatissima situazione per finire gli studi della laurea magistrale in psicologia che, nel frattempo, si erano rallentati parecchio. Ho cominciato a lavorare e pian piano anche e a comprare svariati synth e drum machine che ancora oggi popolano il mio studio. Ho cominciato ad abbandonare la produzione al computer per usare solo synth e drum machine. Attualmente uso il computer solo per editare ciò che registro dagli strumenti esterni.
Negli anni di pausa (2013-2016) ho pubblicato 3 EP con il nome Post Mortem ATTO I/II/III che racchiudevano alcune tracce salvate dal furto. I primi due erano jungle anni ’90, il terzo era prettamente IDM/glitch, non in 4/4.
Ho provato a continuare a far uscire almeno una pubblicazione – che sia almeno un singolo o un EP – all’anno ma non è stato facile dopo il 2016 quando ho cominciato a lavorare costantemente nel mondo della scuola, prima come educatore, poi come insegnante. Ruolo che ricopro tutt’ora e che mi permette anche di sperimentare la musica con gli allievi.
Negli ultimi anni, ma prima del Covid, ho suonato tantissimo e ho prodotto molte tracce per i live. Durante questi due anni di quarantena ho colto l’occasione per concludere un album cominciato poco prima del furto degli strumenti e mai pubblicato. Everything’s Normal è un lavoro durato 10 anni. Da un parte ho dovuto ricreare tutto quello che era stato perso, dall’altra ho voluto ricreare ogni suono utilizzando i sintetizzatori e drum machine e infine ho potuto approfondire il tema dei sogni, dei sogni lucidi, i falsi risvegli e le paralisi notturne che sono alla base del disco.

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui ti ispiri per i tuoi pezzi?

Ascolto tanta musica diversa e tanti generi diversi ma ho alcuni artisti che non possono assolutamente mancare in cuffia. Gli artisti evergreen delle mie cuffie hanno alcune caratteristiche: mi fanno emozionare, hanno un suono specifico che mi ispira, appartengono più o meno agli anni ’90/inizio 2000.
L’elenco non sarà per forza di cose completo ma cerca di essere il più esaustivo possibile. I Telefon Tel Aviv, quando erano ancora un duo, per tutte quelle melodie e chitarre che si uniscono alla perfezione sulle drums glitchate. I Boards of Canada per tutte quelle chitarre e quei tappeti ambientali giostrati magicamente su ritmi downtempo. Aphex Twin per il suo saper mischiare sapientemente tante sonorità, oltre alla pazzia. Gli Autechre per il glitch estremo. Amon Tobin  e DJShadow per il campionamento, sopratutto nei primi dischi. Burial per i ritmi e per la presa male intrinseca. U-ziq e Squarepusher per i ritmi spezzati. Carbon Based Lifeforms per i tappeti infiniti. Gli Stunned Guys e la prima scena italiana per l’arroganza del kick saturato. I Massive Attack e i Portishead per l’ovvio collegamento con il mio primo amore, l’hip hop. La prima house, ma non quella commerciale, per i pianoforti e i campionamenti funk/soul. La dance prevalentemente italiana per quel cassa-basso alternato super ignorante. La jungle spezzatissima dei primi periodi per il ritmo delirante. Ma non solo.

 

Progetti futuri?

Ho diversi progetti sottomano. Negli ultimi anni, ma prima del Covid, ho suonato molto in giro per l’Italia. Per non ripetermi troppo durante i live ho prodotto decine di tracce di svariati sound. Non sono interessato a fare una compilation senza senso delle mie tracce migliori. Voglio ovviamente  raccogliere le migliori – all’interno di EP o dischi – ma che allo stesso tempo abbiamo un forte filo conduttore tra di loro, proprop come le 7 tracce di questo disco appena uscito e che parla dei sogni.
Il tempo nella giornata non è infinito e non è sicuro che potrò portare a termine ogni progetto per fare uscire almeno un EP o un disco di ogni mondo sonoro affrontato ma sicuramente continuerò a portare questi suoni durante i live.
Nel concreto ho un progetto di musica elettronica d’ascolto, proprio come questo disco.
Un altro progetto è più sul versante techno. Da quella più lenta a 100bpm passando da quella più classica a 120bpm e arrivando a quella più spinta da 140bpm in su, a tratti gabber, ma sempre downtempo.
Infine ho un progetto di strumentali rap con campionamenti dagli anni ’70. Questi sono i progetti più sostanziosi con diverse tracce (semi) complete.
Ho altri progetti ma meno ricchi di materiale già esistente. Uno è ambient e uno è jungle.

Tre Domande a: Fucksia

Come e quando è nato questo progetto?
Mariana: Fucksia nasce da una base musicale, quella che poi è diventata il pezzo dell’EP I’m a Freak.
In una fredda giornata invernale, quando l’apocalisse sembrava alle porte e “il Nulla” culturale, artistico e mentale incombeva su tutti noi, una canzone viaggiava nell’etere e nell’ethernet. Dall’estremo sud della Puglia passando per Bologna per giungere infine a Venezia I’m a Freak fu capace di creare una connessione tra tre artiste distanti geograficamente ma vicine tra loro in termini artistici.
Poppy plasmatrice di sonorità plastiche, Marzia ipnotizzatrice vocale ed io, Mari, disturbatrice professionista abbiamo iniziato a scambiarci file musicali ed a creare un primo di numerosi contatti virtuali nei quali abbiamo composto tutti i sei pezzi che compongono l’EP. Il primo incontro in presenza è stato a Bologna solo diversi mesi dopo.
L’armonia fra noi si è creata fra le note ed è così che sono nate le nostre poesie Teckno, riuscendo ad “accordarci” e viaggiare sulle stesse frequenze.

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui vi ispirate per i vostri pezzi?

Poppy: Tutto ciò che creo fa parte di un grande bagaglio di ascolti che parte dalla musica rock di David Bowie alla musica dark new wave degli anni ’80/’90, dal noise al punk fino ad arrivare ai primi ascolti di musica elettronica come Terranova , Apparat, Moderat, Byetone, etc…  Ma l’ispirazione più grande non arriva da un artista in particolare. La mia attenzione è stata catturata, invece, da un movimento, quello dei rave party.
I ritmi tribali e i suoni dei Synth ipnotici della tekno, mi hanno subito rapito il cuore. In più la voglia di libertà che ho visto in quei party non organizzati in club, ma in posti spesso occupati o in mezzo alla natura, mi hanno fatto capire che la maggior parte della gente che vuole divertirsi e ballare, ha bisogno di questo svago come dell’aria che respiriamo.

 

Se doveste riassumere la vostra musica in tre parole, quali scegliereste e perché?

Marzia: “Follia techno antipatriarcale”.
Follia perché senza la nostra orgogliosa imprudenza e visionaria sconsideratezza saremmo la metà di ciò che siamo e faremmo la metà di ciò che facciamo.
Techno è ciò che caratterizza maggiormente le nostre basi musicali su poi cui costruiamo linee melodiche e testi densi di messaggi che mirano a diffondere una cultura e una visione transfemminista e antipatriarcale.

Tre Domande a: Laín

Come stai vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

Sono al mio primissimo lavoro discografico e quindi un neonato in questo mondo… spero di entrare a far parte dei fortunati che riescono a vivere di musica e non preoccuparmi più di sbarcare il lunario cambiando un lavoro all’anno.
Da quel che so, in Italia era già difficile vivere di musica prima della pandemia. Tutto quello che è successo è stato solo una conferma di quanto il ruolo dell’arte e di chi se ne occupa sia poco considerato. Purtroppo per la maggior parte delle persone l’arte è soltanto una forma di intrattenimento e tantissimi “artisti” continuano a contribuire al consolidamento di questa idea.

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

La prima parola che mi viene in mente è Essenziale, nel senso che cerco sempre di essere chiaro e conciso quando scrivo e compongo. So che gli ascoltatori mi offrono il loro tempo e sento il dovere di riempirlo di contenuti… e poi è essenziale per me: mi aiuta a capirmi e sono sicuro che mi aiuterà a farmi capire.
Intima perché nasce dai testi dei miei diari e racconta l’uomo che sono, con estrema sincerità. La manterrò sempre molto personale perché ho ormai ben chiaro il percorso che intendo fare. Crescerà, maturerà insieme a me e dividerà la vita in capitoli, testimoniando gioie e dolori, cadute e conquiste.
La terza è Giramondo e viene dalle considerazioni dei miei primi fan: mi hanno detto tutti che le mie canzoni ispirano il viaggio e sono perfette come sottofondo in treno e simili. Mi piace moltissimo pensare che il mio viaggio interiore sia “applicabile” all’esterno e che questo album sia associato all’idea di movimento.

 

Come ti immagini il tuo primo concerto live post-pandemia?

Già c’è stato un piccolo concerto in acustico, in occasione della presentazione del mio album Line of Light, in uscita il 15 ottobre. Ho risposto ad alcune domande e suonato diverse canzoni in una serata magica ed emozionante.
Eravamo intorno ad un pozzo al centro di un piccolo chiostro. Si è creata un’atmosfera meravigliosa e per un’ora ci siamo dimenticati di tutto, eravamo fuori dal tempo. Non avrei saputo immaginarlo più bello di quanto sia stato.

 

Tre Domande a: JacksonT

Ci sono degli artisti in particolare a cui ti ispiri per i tuoi pezzi? 

Si, ci sono diversi artisti che sono la mia fonte di ispirazione, per tantissimi motivi. Artisti del calibro di Ernia, Rkomi, Il Tre, e così via, potrei elencarne qua molti altri. Io ascolto molta musica, prevalentemente italiana, prevalentemente rap, pop. Sono in assoluto i generi che preferisco. Questo non esclude la musica straniera, perché artisti come Justin Bieber, The Kid LAROI, Ed Sheeran, sono comunque tra i miei preferiti. Degli artisti sopracitati mi piace molto la scrittura, le linee melodiche che vanno a cercare, il significato dei loro testi. Insomma io credo che bisogna sempre imparare da chi è più bravo e da chi ha più esperienza di te e, se possibile, prendere spunto per poi andare a costruire un progetto nuovo e fresco.

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta? 

Beh, vorrei far arrivare in primis le emozioni; le stesse emozioni che ci metto dentro quando scrivo una canzone e quando la vado a registrare. Scrivere canzoni non è facile, perché è un qualcosa di prettamente personale e, se a qualcuno non piace, ti senti in un certo senso ‘ferito’. Mi piacerebbe davvero raccontare delle storie, alcune felici, altre un po’ meno, anche perché la musica è la metafora della vita, ci sono giorni tristi e ci sono giorni felici e così sono le canzoni. Le mie prime tre pubblicazioni hanno un senso logico, però credo che non sia facilmente percettibile. Io sto costruendo un vero e proprio percorso artistico, con la speranza che prima o poi quest’ultimo venga capito e apprezzato per quello che è.

 

Quanto punti sui social per far conoscere il tuo lavoro?

I social, ahimè, sono molto importanti oggi giorno. Se torniamo indietro di qualche anno, il buon vecchio passaparola non smentiva mai, adesso invece purtroppo non è così. I social sono letteralmente il tramite tra artista e pubblico. La comunicazione è importante. Io personalmente per ogni pubblicazione ho cercato di catturare l’attenzione del mio pubblico virtuale, per cercare di incuriosire. Purtroppo non è facile, viviamo in un periodo storico dove l’ascolto della musica è passivo, totalmente passivo. Bisogna cercare di farsi spazio e dire a tutti ‘hey, guardate che ci sono anche io!!’. Sono sicuro che non mollerò, anche perché sono all’inizio di questo percorso, sto seminando tanto, spero di raccogliere i frutti in futuro.

Tre Domande a: California

Come e quando è nato questo progetto?
Il progetto nasce da una forte amicizia con il  chitarrista Fabio Brando (ex Canova), una sera di agosto di due anni fa. Dopo una pizza entrammo nella sua stanza per chiacchierare, lui si sedette al pianoforte e mi disse “Dai, io invento un giro e tu ci canti delle frasi sopra!” . Quella sera nacque una della canzoni a cui siamo più legati, la prima del progetto (di cui ora non posso dire il titolo, lo scoprirete più avanti).
Tutto comunque è nato in maniera naturale senza forzature, dalla passione che hanno in comune due veri amici, che sfogano le proprie ansie e i propri problemi con la musica. Da lì in poi sono arrivate altre canzoni, come Mediterraneo appunto.
Fabio mi ha inoltre seguito in studio durante il processo creativo nella lavorazione dei brani, insegnandomi e consigliandomi un sacco di cose che non conoscevo, è stato un vero e proprio guru, non smetterò mai di ringraziarlo!
Ci sono degli artisti a cui ti ispiri per i tuoi pezzi?
Solitamente ascolto davvero tutto, soprattutto nell’ultimo periodo, dove il mercato discografico è ricco di uscite.
Io però sono cresciuto con il pop/rock americano: Blink 182, Sum 41, Green Day, Offspring, ma anche la scena britpop come Oasis, Blur e The Verve. Ci sono poi altri gruppi ai quali sono molto legato come i Nirvana, quando ho cercato di scrivere e comporre musica in studio mi sono sempre ispirato a loro. Il suono di quei gruppi per me rimarrà sempre il mio preferito, tant’è vero che nonostante ascolti un sacco di altra musica, torno poi sempre a quella, perche è l’unica che ancora oggi mi dà forti emozioni e mi riporta un po’ alla mia adolescenza.
Per i testi invece è un discorso diverso, nel senso che non mi sento vicino a nessuno, qualcuno mi ha detto che somiglio a Gazzelle, anche se lui scrive da dio, io no!
Mi piace molto inventare racconti, storytelling dove la gente si rivede, ma anche parlare della vita che vivo tutti i giorni. Credo che al giorno d’oggi, scrivere cose autentiche ma soprattutto sincere sia la chiave per far bene.
Come ti immagini il tuo primo concerto live post pandemia?
A volte me lo sogno la notte. Giuro, non scherzo, ci penso spesso con la speranza che arrivi presto.
La cosa più bella della musica è portare alla gente il tuo lavoro, farglielo ascoltare dal vivo, senza filtri, solo loro e la tua musica.
Dopo un periodo così tragico e pesante c’è bisogno di concerti, di aggregazione, e non capisco perché a oggi ancora si sia mosso ben poco.
Nei piccoli live che ho fatto mi piace trasmettere al pubblico energia, ma anche far riflettere con i pezzi più lenti. Insomma, spero arrivi presto il mio primo concerto post pandemia, e spero pure di avere tanta bella gente sotto al palco da invitare a bere una birra insieme finito il live!

Tre Domande a: Frank!

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

L’artista, o meglio, la band con cui mi piacerebbe collaborare di più in questo momento sono The 1975, gruppo britannico per il quale ho un debole da molto tempo. Le loro sonorità penso si sposerebbero bene con le mie essendo a metà tra l’analogico e il digitale. L’unione del mio mondo sonoro con il loro amplificherebbe la dimensione ibrida in cui mi piace gravitare.

 

Come ti immagini il tuo primo concerto live post-pandemia?
Il mio primo concerto post-pandemia lo immagino con tante persone che cantano a squarciagola le mie canzoni, che ballano e si divertono tanto quanto me! Se ci penso, riesco quasi a sentire quell’emozione prima di salire sul palco, quell’ansia che poi si trasforma nella spinta giusta! Essendo i miei brani usciti dopo l’avvento del COVID purtroppo non ho ancora avuto occasione di suonarli dal vivo davanti ad un pubblico. I concerti sono sempre stati uno dei miei aspetti preferiti del fare musica. Mi mancano moltissimo i palchi e non vedo l’ora che sia finalmente possibile ritornare a pieno regime anche per quanto riguarda i live show!

 

C’è un evento, un festival in particolare a cui ti piacerebbe partecipare?
Penso che ogni artista abbia sognato almeno una volta di suonare a Wembley. Uno stadio cosi grande e iconico sarebbe il massimo per me oltre che un grande privilegio essendo stato palcoscenico di molte band e artisti che nel corso degli anni hanno fatto la storia. Per quanto riguarda i festival, su tutti mi piacerebbe suonare al Glastonbury Festival, con tutte quelle bandiere che sventolano tra il pubblico!

Tre Domande a: Smania Uagliuns

Come state vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

La nostra reazione spontanea è stata quella di metterci sotto con la produzione e il continuare ad essere creativi a 360°. Abbiamo dedicato molto del nostro tempo e delle nostre giornate al concepimento e sviluppo di questo nuovo EP (Travel Experiment (Season One), NdR), curandone ogni particolare, compreso il merchandising, i video, le idee di promozione e anche aspetti più grafici e tecnici, facendo un lavoro da etichetta più che solo da artisti. Abbiamo messo la nostra creatività a tutto tondo, ci piace partecipare ad ogni aspetto dei nostri lavori., così come la metteremo nella lavorazione dei nuovi singoli e del disco che stiamo finalizzando. Nei momenti di difficoltà, si prova a tramutare la negatività per tirarne fuori delle cose buone e per noi la ricompensa, in primis, è la musica e l’arte, che è arrivata, perciò possiamo già dirci felici. Ci siamo divertiti molto a creare da zero questo nuovo progetto. Anche se magari le energie spese supereranno i risultati, non fa nulla, la cosa primaria è combattere e dare tutto per quello in cui si crede.
Ora stiamo programmando anche dei piccoli eventi, di cui Agronomist sarà anche direttore artistico. Sebbene con le restrizioni e i problemi del caso, non ci faremo trovare impreparati, sperando di tornare a fare un sacco di cose fighe. Alla stasi e alla crisi abbiamo risposto e continueremo a farlo con produttività, creatività, impegno e dedizione, come sempre. Anche per progetti solisti di membri del gruppo, quelli di Agronomist nel caso specifico, siamo stati molto in studio a creare musica nuova. Ciò ci ha salvati e fatto risalire la china. È stato faticoso inizialmente, ma poi anche bello in maniera inedita, chiudere le porte al mondo esterno e cercare in sé le risposte, la “cura”.
Ora però vogliamo aprirci al mondo e confrontarci con l’esterno. Avevamo anche dei piani totalmente saltati, o rimandati nel migliore dei casi, ma abbiamo provato a rimettere insieme i cocci. Attendiamo una nuova era, più propizia, intanto cerchiamo di trarre il meglio dal momento presente, dando inizio a questo nuovo viaggio, per l’appunto.

 

Quando e come è nato questo progetto?

Questo progetto è nato in maniera del tutto spontanea nel 2016, dall’unione della nostra propensione al viaggio e alla scoperta con la passione per la musica e la ricerca di nuove sonorità. Da qui l’unione dei termini “travel” ed “experiment”, intesi come viaggio fisico, ma anche sonoro, e  come sperimentazione creativa, che si propone di assimilare e fagocitare la cultura e le sfaccettature dei luoghi che visitiamo di volta in volta, ridandogli luce sotto forma di storytelling, trasformato e deformato dalle nostre lenti, a volte in chiave ironica, a volte più seria. Nel fare ciò ci piace avvalerci di mini strumenti portatili e di frammenti musicali e linguistici prelevati direttamente dal posto oggetto della nostra visita (es. campioni di vecchi vinili usati, vocali registrati con il telefonino, etc.), oltre a catturare le video-immagini, per mezzo di varie action cam, che poi vengono montate a fare da cornice video al brano che viene solitamente scritto estemporaneamente durante il viaggio, poi finalizzato e registrato nel nostro home studio nelle settimane successive.
Quello che ci prefiggiamo è la creazione di un’opera estemporanea, che sia frutto dell’impeto e delle impressioni del momento, e non di una ragionata e calcolata struttura precostituita, una sorta di diario di bordo reale e vissuto, senza troppi fronzoli insomma e per varie ragioni, differente da altri progetti o dischi.
Il primo episodio è stato concepito durante un viaggio a Marsiglia  nel 2016, e ciò è stato una totale rivelazione per noi: scrivere un brano e registrarne il relativo video durante un week end fuori porta , ma senza farlo realmente, in quanto già parti integranti del nostro viaggio fisico e mentale. Da lì sono partiti una serie di episodi legati a diversi viaggi fatti insieme (Alo Bucarest (2017), Kenya Safari (2018), fino ad arrivare a quest’ultimo episodio Gute Natch Berlin, che chiude un po’ il cerchio e suggella l’EP Travel Experiment (Season One) che, come implica il titolo, non escludiamo possa avere un seguito nel futuro prossimo.

 

Progetti futuri?

Innanzitutto riprenderci tutto quello che è nostro (semicit.) con questo Travel Experiment (Season One). Riguardo questo nuovo singolo ed EP, abbiamo tante sorprese che sveleremo man mano, tra cui un merchandising molto particolare e delle date di presentazione, per ora in Basilicata, speriamo in seguito anche nel globo. Non ci neghiamo la possibilità di realizzare altri travel nel futuro prossimo e magari nuovi episodi o una Season Two. Dopo queste peregrinazioni, torneremo alla base, anche grazie ad un progetto che celebrerà le nostre origini e terra. Questo progetto sarà legato al nuovo disco. Ci focalizzeremo sul nuovo album, infatti, che è pressoché pronto, va finalizzato, ma abbiamo già dei singoli in lavorazione, come accennavamo e tante belle idee e cose da presentare anche riguardo questo lavoro. Tutt’altro suono, approccio e lavorazione, ma siamo molto contenti di come sta venendo fuori. Inoltre ci sarà del materiale di Agronomist da solista, a cui probabilmente parteciperemo. In più abbiamo molta musica nei cassetti e negli hard disk, che vorremmo rinfrescare e pubblicare. Questo è il momento storico in cui abbiamo in serbo più musica di sempre, che non ha senso tenere ferma. Negli anni purtroppo lo abbiamo fatto, sia per contingenze da indipendenti, di vita, momenti di sconforto e di perdita di entusiasmo, impegni dei componenti, sia per disavventure varie. Ci siamo stancati, vogliamo pubblicare tutto, come va, va. Speriamo poi di riprendere a suonare live, ci manca un sacco. Il primo live “vero” dopo tanto, a proposito, sarà al BasilicArt Festival, ad Agosto, dove presenteremo il nuovo EP. Non vediamo l’ora.

Tre Domande a: Chris Lavoro

Come e quando è nato questo progetto?

Ho sempre alimentato questa scintilla, mi è sempre piaciuta l’idea di uscire con un altro disco dopo Fai Tu come MOKA, appena rientrato dal tour mi ci sono messo con tutta la passione e la concentrazione, in totale indipendenza, son contento che il disco nuovo In Giro finalmente sia fuori.

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché? 

Se mi ascoltassi senza conoscermi probabilmente direi eclettica, organica e romantica. Credo che affiori questa sensazione che è un misto di coraggio e vulnerabilità, molta onestà e freschezza, nonostante non mi dimeni a inseguire il sound del momento.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

Al momento sceglierei Last Goodbye perché è un bel mix di mondi che mi piacciono: ha questo cantato un po’ malinconico anni ’60, un bel beat surf, le chitarre e il piano elettrico anni ’70, i synth anni ’80 e soprattutto la voglia di ricominciare, molto 2021.