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Tag: intervista

Tre Domande a: Deut

Ci sono degli artisti in particolare che influenzano il tuo modo di fare musica o a cui ti ispiri?

C’è un intero mondo musicale che seleziono e cerco di ampliare o confinare a seconda dei periodi, che spazia dal folk popolare alla musica elettronica, dal progressive rock al metal fino ai compositori classici contemporanei. Durante la scrittura di From the Other Hemisphere ho ascoltato musicisti lontani da me come Little Simz, Anderson.Paak e Black Thought, grazie ai quali ho ragionato molto sulla ripetizione e sul sampling. Con altri musicisti ho scoperto il click and cuts, ma non credo sia nemmeno una tecnica. Ho usato i dischi di Nick Drake come tranquillante, mangiato tutta la produzione dei War On Drugs e degli Arcade Fire perché adoro la loro scrittura. Dal folk e dalla psichedelia turca nominerei i Karagunes e gli Altin Gün con cui imparo e ripasso scale orientali, la polifonia, i controcanti e i tempi sbilenchi.
Citerei Sam Fender, The Building, Hania Rani e Model Man, tutti diversi tra loro ma capaci di suggerire atmosfere rarefatte. Ho trovato la leggerezza nel city pop di Tatsuro Yamashita e ascoltato la saggezza di Francis Bebey. Ultimamente le mie orecchie si sono poggiate su Dan Mangan e sul duo Svaneborg Kardib. In linea di massima sono attratto e ispirato da tutto ciò che mi è diverso perché aiuta ad allontanarmi dal luogo interiore da cui attingo le idee e soprattutto da me stesso.

 

Progetti futuri? 

Mi piacerebbe dedicarmi ad una nuova ricerca sonora e ad un nuovo lavoro musicale, continuare campionare suoni, lavorare su cose minimali con strumenti analogici. Anche in privato, senza velleità, senza il limite della struttura canzone… ma soprattutto dal vivo e non rinchiuso in casa con le cuffie. Mi piacerebbe avere qualche compagno/a musicale per creare insieme brani strumentali anche solo per il piacere di farlo. Sarebbe bello ricevere qualche proposta di collaborazione, giusto per uscire dal tracciato e sperimentare cose nuove.

 

Qual è la cosa che ami di più del fare musica?

Mi piace quando mi libero dell’urgenza. Mi è capitato non di rado di scappare verso casa con tutti gli strumenti che mi suonano in testa nello stesso momento, buttare giù le parti come appunti veloci e vedere un brano nascere. Mi piace la spontaneità con la quale arrivano le idee nella testa, il tormento che può darti una melodia. Amo le sovraincisioni, gli strati, lavorare sugli errori e sul caso… campionare suoni e inserirli nell’arrangiamento, strafare e poi magari ripulire. Dare un pizzico di senso al turbinio creativo per poi poterlo esprimere. Comunicarlo agli altri è potentissimo, quando accade è come se si suonasse insieme.

Divagazioni su musica raggae e spiritualità con Alborosie

Se dovessi pensare ai nomi più importanti del panorama reggae odierno, sicuramente uno dei primi sarebbe Alborosie. All’anagrafe Alberto D’Ascola, nasce a Marsala il 4 luglio 1977. Si avvicina al reggae nel 1993, quando fonda il gruppo Reggae National Tickets, ancora conosciuto come Stena. Nel 2000 si trasferisce in Giamaica, dove rinnova il nome d’arte in Alborosie (inizialmente Al Borosie) e inizia la sua significativa carriera da solista. Attualmente conta all’attivo ben ventitré album in studio, di cui cinque con il gruppo Reggae National Tickets.
Noi di Vez abbiamo avuto il piacere di intervistarlo.

 

Ciao Alberto, benvenuto su Vez Magazine!
Sei un’istituzione riconosciuta a livello globale del reggae moderno. Cosa significa essere una voce importante della religione rasta nel 2022?

“Dopo aver vissuto una rivoluzione spirituale e aver studiato a lungo e a fondo la storia dell’Etiopia – vessata per anni dagli italiani – per me è un onore essere oggi portavoce di questa importante cultura. Quella rasta non è una religione, è spiritualismo, la parola religione implica anche una componente politica da cui io mi sento lontano.”

 

Gli anni caratterizzati dal virus hanno influito sulla tua creatività e sul modo di vedere il mondo? 

“Ho sempre fatto concerti, circa 200 date l’anno, e per la prima volta, non c’è stata alcuna interruzione nella lavorazione del disco. Avevo ritmi così estenuanti che stare fermo un anno e mezzo ha avuto sicuramente i suoi risvolti positivi, anche in fatto di creatività. Durante il periodo della pandemia infatti ho lavorato a casa, avendo la fortuna di avere uno studio a disposizione.”

 

Sei un artista molto seguito sia a livello italiano che internazionale. Qual è il tuo rapporto con i fan, sia nostrani che esteri?

“Ho un rapporto stupendo, e sento che con il tempo mi sto avvicinando a loro sempre di più. Sono contento perché sia dall’Italia che dall’estero, noto sempre una grande attenzione e partecipazione da parte loro rispetto alla mia evoluzione musicale.”

 

Il reggae è in buona parte critica verso il sistema occidentale. Qual è il tuo pensiero sulla situazione politica italiana odierna?

“Reputo la classe politica italiana un po’ tutta uguale, ma non vorrei entrare nel merito in questo contesto, preferisco lasciar parlare le mie canzoni.”

 

Quali sono gli artisti reggae che ti hanno formato di più? E quelli di altri generi?

Bob Marley, Peter Tosh fra gli artisti reggae internazionali che mi hanno formato di più. Fra gli italiani invece, sicuramente gli Africa Unite. Mentre per quanto riguarda gli altri generi, i Doors.”

 

Secondo te quale sarà l’evoluzione del genere reggae in vista di gusti sempre più omologati e mainstream? Evolverà in altri stili sporcandosi anche di generi diversi o rimarrà fedele a sé stesso?

“Sarò io a fare in modo che molto presto il genere si evolva, in questo periodo mi sto dedicando a studiare proprio questo.”

 

C’è qualcosa in cui credi fortemente al di là della musica e del rastafarianesimo che vorresti condividere con i lettori?

“L’unica altra cosa in cui credo fortemente insieme alla musica e al rastafarianesimo è la vita.”

 

Riccardo Rinaldini

Tre Domande a: Matteo Crea

Come e quando è nato questo progetto?
Il mio primo album Io non sono mai felice è nato circa un anno fa, in un momento in cui fare musica era l’ultimo degli obiettivi e dei pensieri, perché lavoravo in ufficio e avevo concluso l’università e non avevo grandi prospettive lavorative. Quindi ho scritto delle canzoni sincere che riflettessero il mio stato d’animo in un preciso momento di vita, poi il resto è venuto da sé, naturalmente.
Ci sono degli artisti in particolare che influenzano il tuo modo di fare musica o a cui ti ispiri?
Sì ci sono moltissimi artisti e artiste a cui mi ispiro perché mi piace ascoltare tantissime tipologie di musica, in particolare per quanto riguarda questo disco mi sento di citare i primissimi Cure, i Beatles e un po’ il brit pop, rock, punk in generale. Sono questi i generi che più mi hanno ispirato. Artisti in particolare direi questi due.
Se dovessi riassumere la tua musica con un tre parole, quali sceglieresti e perché?
Se dovessi descrivere la mia musica direi arrabbiata, perché è grintosa, a me piace che le mie tracce abbiano un bell’impatto e che portate dal vivo facciano muovere; disullusa, non cinica, ma un po’ disillusa nei confronti del futuro; però direi anche speranzosa, perché mi piace mantenere sempre un messaggio di speranza e di positività su quello che poi è il futuro.

Tre Domande a: Fosco17

Come e quando è nato questo progetto?

10 Anni, il mio nuovo brano, è il primo estratto del mio secondo disco, che a dirla tutta è il terzo. A fine 2020 avevo terminato la produzione del mio secondo lavoro discografico, si sarebbe dovuto chiamare La Musica Italiana ed era un lavoro di ricerca temporale sulle influenze che l’Italia aveva assorbito dalla bossa nova, contaminato dal cantautore e dalla musica elettronica e inquinato dalla mia penna. Per motivi principalmente legati alla pandemia, tuttavia, questo disco non ha mai visto la luce e alla fine del 2022 ne avevo scritto un altro. Il racconto che avevo involontariamente deciso di fare, questa volta, era un’altra ricerca, nello spazio e non nel tempo però. Una ricerca di fantasia. Ho deciso dunque di riprendere e riarrangiare alcuni brani ancora inediti del precedente lavoro, e di commistionarli con altri, estendendo il viaggio nel tempo a nuove influenze, e raccontando lo spazio in maniera visiva.
Le canzoni raccontano qualcosa che le immagini amplificano e distorcono. Due rette parallele (all’asse y) traslate fra loro di 100 anni. L’estetica visiva si appoggia a quella sonora, creando illustrazioni démodé, il tessuto lirico, invece, non trova corrispettivo nell’illustrazione.
La produzione sonora e la scrittura armonica del disco compiono, contemporaneamente, come dicevo, un viaggio nel tempo. Le tappe musicali che vengono percorse sono un omaggio all’irrazionale follia della musica italiana che ha rubato e assorbito le influenze dell’estero in maniera differente nel corso degli anni.

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Biologica, ecosostenibile e circolare.
La musica di questo nuovo progetto è nata assieme a persone per cui provo stima e affetto, ha saputo rivivere della leggerezza con cui si scrive e si producono canzoni durante l’adolescenza ed ora non ha più un’appartenenza individuale ma collettiva. Non nutre frustrate aspettative verso se stessa perché è stata coltivata e annaffiata con moderazione e ha già generato i frutti per la sua auto-sostenibilità.
Credo nell’economia circolare, e l’arte è come un campo di pomodori, se li annaffi troppo marciscono.

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Nonostante non sia mai stato amante dei concept album (sono sempre stato più interessato alle canzoni che alla storia del disco), faccio molta fatica a concepire un lavoro discografico senza un nitido fil rouge, senza un concetto che avvolga tutto.
È molto difficile riuscire anche solo a raccontare una storia dentro una canzone, figurarsi in un intero disco. Per questo spero che di 10 Anni arrivi, innanzitutto, quello che il testo sta raccontando, il sogno di un risveglio dal coma, ed in secondo luogo la narrativa fantascientifica e distopica, che trasporta i fatti nel futuro e ne modifica le forme e i contenuti.
E poi, sì, tutto quello che faccio è sincero e appassionato, e spero che questo si senta.

Tre Domande a: Sinplus

Come e quando è nato questo progetto?

Essendo due fratelli, possiamo dire di aver  sempre suonato assieme… Nostro padre faceva parte di una cover band e da bambini avevamo a disposizione una piccola sala prova…era un po’ il nostro parco giochi. Nel 2009, dopo vari progetti, abbiamo deciso di formare i Sinplus (in italiano “peccato positivo”) e nel 2011 abbiamo pubblicato il nostro primo album Disinformation. In poco tempo abbiamo rappresentato la Svizzera all’Eurovision, abbiamo vinto un MTV Award e soprattutto abbiamo suonato in Festival come l’Isola di Wight. Nel frattempo stiamo arrivando a definire sempre meglio la nostra direzione artistica…e non vediamo l’ora di portare la nostra nuova musica dal vivo.

 

Se doveste riassumere la vostra musica con tre parole, quali scegliereste e perché?

Graffiante, sognante ed essenziale
Graffiante perché facciamo rock che fa saltare, sfogare, cantare… Il tutto intriso da una buona dose di post punk e new wave. Un rock che va dai Joy Division ai Rage Against The Machine.
Sognante perché ci sono sempre piaciuti  quegli ambienti e quelle melodie che fanno viaggiare la mente, che scatenano delle emozioni forti…The Cure e soprattutto gli U2 con Joshua Tree sono dei maestri in questo.
Essenziale in quanto quando componiamo cerchiamo di privilegiare la canzone piuttosto che il virtuosismo del singolo strumento. Inoltre la nostra musica non ha artifizi, non utilizziamo particolari trucchi di post produzione e soprattutto quello che sentite nelle registrazioni e quello che sentite in live.

 

Progetti futuri?

Diciamo che abbiamo diversa carne al fuoco, anche se il focus principale è il nuovo album in uscita a fine marzo 2023, di cui potete avere un assaggio con l’EP Waiting For The Dawn appena pubblicato, e la preparazione del live.
Siamo sempre stati un band che si esprime al meglio dal vivo, ma con la line up consolidata e le canzoni concepite per il live, stiamo arrivando ad un next level…saranno concerti da non perdere!

Tre Domande a: Phomea

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Vorrei incuriosire l’ascoltatore, fargli venire voglia di approfondire, indagare, immaginare. Vorrei che chi ascolta Phomea riuscisse a lasciarsi andare ad un immaginario magari suggerito ma mai imposto, che riuscisse a trovare spazio per vedere oltre la musica.

 

Progetti futuri?

Ci sono tante cose che mi frullano in testa per il futuro, sia legate al disco Me and My Army che totalmente nuove. Nell’immediato futuro voglio semplicemente riuscire a portare il disco live il più possibile! L’idea è quella di continuare ancora un pò con i concerti in solitaria per poi provare a proporlo nella sua interezza in full band.
Mi piacerebbe poi provare a fare delle variazioni sul tema Me and My Army, ad esempio rivederlo in chiave totalmente elettronica oppure realizzarne una versione al pianoforte.
In un futuro non troppo lontano invece dovrebbe arrivare un terzo disco, è già nato qualcosa e c’è già qualche idea che mi stuzzica… Qualche pezzo nuovo lo sto già portando nei concerti per vedere come me li sento addosso!

 

Qual è la cosa che ami di più del fare musica?

Sicuramente la possibilità di stabilire un dialogo utilizzando un linguaggio così complesso e semplice allo stesso tempo come la musica.
Non a caso i miei momenti preferiti nella vita di un disco sono due: gli attimi che vengono ancora prima dell’idea del disco, prima della sua nascita, quando i pezzi iniziano a formarsi e l’interlocutore sono io, solo io e le occasioni live, quando tutto quello che mi sono detto nell’intimità del mio studio/salotto/sala prove può essere condiviso con chi è lì per vivere un’esperienza ed è pronto
Mi piace fare musica perchè è l’unico modo che conosco per comunicare (davvero) con gli altri e con me stesso… alla fine, forse, senza nemmeno sapere a priori cosa ci andremo a dire.

Tre Domande a: Clairemargot

Qual è la cosa che ami di più del fare musica?

Sicuramente il percorso creativo. Il fatto di poter esprimere con le parole sulla melodia quello che sento. Mi piace comunicare con musica ed immagini il mio vissuto personale, dato che ho una vita molto movimentata. Scrivo spesso quando guido la macchina, metto una base e registro con il telefono sui memo vocali, è uno dei pochi momenti che ho durante le mie giornate frenetiche tra i vari lavori come shooting, set cinematografici, ed il resto.

 

C’è un evento, un festival – italiano o internazionale -–in particolare a cui ti piacerebbe partecipare?

Mi piacerebbe molto provare ad entrare ad X-Factor l’anno prossimo. Seguo il programma da tanti anni, è un piccolo sogno che ho sempre tenuto nel cassetto! Adoro i live con i costumi e le coreografie pazzeschi, e ora che uscirà la musica a cui ho lavorato questi ultimi anni, e sto continuando ad esibirmi live tra Roma e Milano, mi sento più  pronta a salire sul palco del Forum di Assago.

 

Progetti futuri? 

Lilly, la mia traccia appena uscita il 28 Ottobre, è il primo di quattro singoli che usciranno tra il mese di Novembre e Marzo, saranno poi racchiusi nel mio primo EP. Ne vedrete delle belle tra le grafiche per le cover e gli shooting folli che stiamo creando con il mio super team. I video musicali che trovate già sul mio canale YouTube Clara Margherita Cabassi, come ad esempio Eroine invece li autoproduco, ho una laurea in regia ed il cinema è la mia passione oltre alla musica.

Eagle-Eye Cherry: Back on Track, finalmente si torna sul palco

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Per i 25 anni di carriera torna il cantautore di origini svedesi Eagle-Eye Cherry, e lo fa alla grande con un nuovo disco, Back On Track, ed un nuovo tour mondiale che farà tappa anche in Italia a febbraio. Lo abbiamo intervistato per sapere qualcosa di più sulle nuove canzoni, su questa lunga pausa forzata e sul “peso” di aver scritto Save Tonight.

 

Benvenuto su VEZ Magazine e grazie per la tua disponibilità.
In riferimento al tuo nuovo atteso album, Back on Track, credi sia possibile trovare un trait d’union (sia esso una parola, uno stato d’animo) tra i vari brani del disco?

“Quando stavo lavorando sull’album ho iniziato a rivisitare la musica che ascoltavo quando ero un adolescente. Cose come The Ramones, The Clash e Talking Heads e credo che abbiano trovato la loro strada nella musica (che stavo componendo, NdR). Non tanto la parte sonica, ma la sensazione che avevo quando ero giovane e ascoltavo la loro musica… mi ha ispirato e dato energia.”

 

Quando hai iniziato a scrivere le nuove canzoni? Prima o dopo l’avvento dell’epidemia?

“Avevo iniziato a scrivere le canzoni prima della pandemia. Volevo catturare l’energia dei nostri concerti nella registrazione, così siamo andati diretti in studio subito dopo la fine del mio Streets of You tour. Abbiamo registrato otto canzoni pianificando di tornare e finire il resto dell’album, ma poi è arrivato il Covid e ha fermato tutto.”

 

Dopo quasi 25 anni di carriera, sei dischi e decine di canzoni è cambiato il tuo processo di composizione dei pezzi? O il tuo approccio si è mantenuto costante nel tempo? E normalmente i pezzi nuovi nascono alla chitarra o in altra maniera?

“Quando ho fatto il mio primo album non ero sicuro di chi fossi musicalmente. Quindi Desireless è stato il viaggio in cui ho trovato chi fossi. Arrivato alla fine dell’album sapevo esattamente dove fossi musicalmente. La differenza tra allora e adesso è che al giorno d’oggi non mi metto più in discussione durante la scrittura di una canzone, perchè sono completamente a mio agio con il mio sound. Principalmente batteria, basso, chitarra, tastiere e la mia voce.
Solitamente le canzoni sono scritte su una chitarra acustica. O da solo o insieme ad altri cantautori.”

 

Comporre, imbarcarsi nella stesura di un nuovo album, nella fattispecie in Back On Track è qualcosa che senti di dover fare, come una sorta di urgenza o è più un naturale processo per il quale non devi necessariamente avvertire un’urgenza?

“Non c’è esattamente un inizio, un mezzo o una fine. Le canzoni sono scritte nel mentre così che il prossimo album è già pronto quando il tour e la promozione (del precedente, NdR) finisce. Sebbene, dopo il mio terzo album ho preso una lunga pausa dal lavoro e pensato che magari non avrei continuato come artista. Ma poi mi sono reso conto che mi mancava troppo andare in tour e non potevo starne lontano… sono dovuto “tornare in pista” (gioco di parole intorno a Back on Track nell’intervista in lingua originale, come il titolo del suo album, NdR)”

 

Una volta che le canzoni sono incise ti piace essere coinvolto in quello che avviene in fase di mixing e post produzione?

“Si, mi piace essere coinvolto ed essere sicuro che l’album suoni nel modo che voglio. Ci sarà il mio nome sulla copertina e devo essere soddisfatto al 100%.”

 

In quest’ottica, quanto è differente l’Eagle-Eye musicista del 2022 rispetto a quello del 1997?

“Sono un po’ più vecchio. Sono stato in giro per un pezzo ormai e non mi sento più irrequieto come lo ero nel 1997. Adesso so come concentrarmi sulle cose importanti. Amo suonare dal vivo ed è la mia ricompensa per tutto il duro lavoro… scrivere, registrare e promuovere. Adesso sono anche un padre e questo eclissa tutto il resto nella vita.”

 

Nel tuo prossimo tour mondiale chi ti accompagnerà sul palco? Da chi sarà composta la tua band? E a che tipo di show assisteremo? Cosa dovrà aspettarsi il pubblico?

“Si, sono molto eccitato dal rimettermi in viaggio. È stato molto duro durante la pandemia non poter andare in tour. Amo viaggiare ed essere sempre in movimento e non poter neanche lasciare il mio appartamento mi ha fatto arrampicare sui muri.
Quindi, poter finalmente tornare fuori nel mondo, incontrare i fan e condividere la musica sarà fantastico. Porterò in giro la band con cui ho lavorato negli ultimi anni. Siamo un gruppo molto affiatato dopo aver suonato così tanti concerti insieme. Suoneremo un sacco di canzoni del nuovo album. Molte delle nuove canzoni sono state scritte perchè mi mancavano quei suoni nei nostri show. Tanta energia! E ovviamente suoneremo svariate canzoni anche dai miei album precedenti.”

 

Per finire, una domanda che potrebbe suonare un pò strana, ma correrò questo rischio… dunque lungo la tua carriera hai scritto un sacco di belle canzoni, ogni tuo album contiene diverse autentiche gemme, a testimonianza di quanto tu sia dotato come cantautore, quindi vengo al punto: ti è mai passato per la testa il pensiero “vorrei non aver mai composto Save Tonight”? Una canzone epocale, che ti ha sicuramente dato successo e molto molto altro, ma che inevitabilmente finisce per in qualche modo oscurare il resto…

“È una domanda interessante. Spesso dico che se avere una hit enorme come Save Tonight è un problema, allora è un buon problema da avere. Save Tonight mi ha portato in giro per il mondo e mi ha dato tutto quello che ho ho sempre desiderato da quando ero un ragazzino. Quindi no, non desidero non aver mai scritto Save Tonight.”

 

Grazie ancora e ci vediamo sotto il palco a Milano!

 

Alberto Adustini
Editing e Traduzione: Francesca Garattoni

Tre Domande a: Sidstopia

Come e quando è nato questo progetto?

ASMA500 nasce nel bel mezzo del primo lockdown (maggio 2020) quando stavo improvvisando sul divano di casa un riff di chitarra accompagnato dal ritornello de La Scelta Sbagliata. Mi sono registrato con l’iPhone e da quelle parole la penna non ha più smesso di scrivere. Era un periodo strano, avevo appena pubblicato un EP importante nel momento peggiore e in cascata sono successe un po’ di cose che mi hanno demotivato. È stato un lungo processo di autoanalisi e la penna un mezzo per conoscermi meglio.

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

La semplicità di un 23enne, la consapevolezza del proprio vissuto, l’amore per il cinema e l’hiphop. Insomma, non serve dimostrare di essere di strada per fare rap, basta amare questa cultura e condividere la proprio storia, non per forza fingersi dei nuovi Tony Montana. Una cosa che mi dicono sempre è che nei miei testi c’è questo contrasto tra testi e musica, dove i temi, il più delle volte scuri e sensibili si amalgamano a strumentali luminose e ritmate. Mi piace, è stato un approccio naturale e proprio per questo sento di aver trovato una mia identità musicale.

 

C’è un evento, un festival – italiano o internazionale – in particolare a cui ti piacerebbe partecipare?

Ho sempre desiderato esibirmi al MIAMI Fest, penso sia l’evento più coerente con la mia idea di festival, ascolto praticamente tutti quelli che ci hanno suonato.
Da anni salgo sempre per la Milano Music Week, quest’anno ci suono e sono emozionatissimo. Il 24 Novembre tutti qui.

Tre Domande a: Colombo

Come e quando è nato questo progetto?

Wild Nights è il primo singolo di questo progetto che ho definito come “pop neoclassico”, perché nasce dal desiderio di far incontrare alcuni elementi della musica classica con la scrittura pop e l’elettronica. La melodia iniziale, infatti, richiama l’incipit della Sinfonia Dal Nuovo Mondo di Dvořák, che poi si evolve trasfigurandosi.
Nell’ultimo anno ho scritto diversi brani con questa intenzione, tutti legati alle poesie di Emily Dickinson, altro elemento che fa incontrare il passato con la contemporaneità. Nel caso di questo singolo, le poesie utilizzate sono Wild Nights e To love thee year by year: entrambe poesie d’amore, ma la prima legata al desiderio e alla passione, la seconda al sacrificio e alla rinuncia. 

 

Ci sono degli artisti in particolare che influenzano il tuo modo di fare musica o a cui ti ispiri?

Un artista che mi ha influenzato molto è James Blake perché nella sua musica il pianoforte ha un ruolo centrale, ma non viene suonato in maniera prettamente pop; oltre al piano hanno molta importanza anche l’elettronica e le armonie vocali. Questo mi ha aperto la strada su come contaminare la mia musica attraverso le mie influenze e attitudini.
Anche Sampha è un artista che ha fatto un’operazione simile e mi piace molto.

 

Progetti futuri? 

Wild Nights è il primo singolo che anticipa l’EP Where Children Strove, interamente dedicato alle poesie di Emily Dickinson e al connubio tra la mia formazione da pianista classico e gli elementi pop-contemporanei ed elettronici. Al momento quindi sono concentrato sulla promozione di questo progetto e spero di avere l’opportunità di presentarlo anche live.

Tre Domande a: Cal Birbanthe

Quando e come nasce il tuo progetto?

Il progetto Cal Birbanthe nasce col mio rientro in Italia, nel 2019, dopo un’esperienza di cinque mesi a Londra. Lì lavoravo come cameriere durante la settimana e nel weekend andavo ad esibirmi in alcuni club nella zona di Brixton. Avevo esaurito gli stimoli da strumentista, che il jazz mi aveva dato per anni, e sentivo il bisogno di dire qualcosa di mio in ambito “leggero”, soprattutto dopo aver ascoltato diverse realtà indie-rock in UK. In quel periodo, infatti, avevo scritto parecchi brani e pubblicato diversi self-released. Uno in particolare è stato Spero di No, brano di stampo R&B con un testo abbastanza indie che, con grande sorpresa (non avendo né etichetta, né ufficio stampa), riuscì comunque ad attirare l’attenzione delle radio siciliane e di molti DJ locali, che lo suonarono come breakdown hit nei club commerciali. Da lì non mi sono più fermato! L’anno successivo, iniziai a stendere le basi di Storie, album che ha visto la luce il 21 Ottobre e che sto portando in giro dallo scorso Marzo, assieme ad alcuni amici musicisti, con cui in passato ho condiviso altri progetti.

 

Cosa vorresti fare arrivare a chi ti ascolta?

Semplicemente le emozioni che vivo per strada e che percepisco negli altri. Amici, conoscenti e sconosciuti. Ad esempio, nelle trame delle tracce di Storie, spesso il sesso si confronta col sentimento, così come la fiducia con il tradimento. Si possono cogliere parallelismi sentimentali che stranamente si intersecano. Nella vita quotidiana, anche l’immagine di un figlio che, in crisi con la propria ragazza, guarda la madre portare a spasso il cane da sola, rievoca scenari e riflessioni su come il più nobile dei sentimenti sia soggetto a trasformazioni continue, in ogni fase della vita. Nei brani dell’album si colgono emozioni diverse ed emergono già a partire dalle timbriche: a volte retrò e nostalgiche, altre volte contestualizzate ai suoni contemporanei. Ogni espressione artistica è per natura individuale, ma funge da specchio collettivo, ed io vorrei che venisse fuori proprio questo: che in un calderone di elementi così diversi, sound nuovi e vintage, nostalgie e rasserenamenti, incoerenze e linearità, qualcuno si possa casualmente ritrovare.

 

Qual è la cosa che più ami nel fare musica?

Sicuramente potermi sentire me stesso, libero da ogni schema o ordine. Questa è una benedizione, perché pian piano accetti sia le tue parti di luce che quelle d’ombra. Nell’album Storie ho riversato diversi tipi di emozioni e stati d’animo. Nella traccia Mal di Mare c’è la mia parte in collera, sfatta e stanca; è un brano che, come dico spesso, anziché averlo concepito, l’ho proprio vomitato. In Domani c’è la rassegnazione serena di un amore che, in quel preciso momento, è finito. Insomma, quello che amo di più è che in musica si è nudi, dalla scrittura alla performance. E questo in un modo o nell’altro, arriva al pubblico.

Tre Domande a: Brida

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare/condividere il palco?
Ci sarebbero tanti artisti con cui vorrei collaborare, penso che sia un buon momento per la musica in Italia, ma se dovessi scegliere adorerei collaborare con Mahmood. Penso che sia uno degli artisti più intriganti che abbiamo in Italia, sia dal punto di vista della scrittura, sia da quello del sound. Mi piacerebbe chiudermi ore ed ore in uno studio con lui e vedere cosa succede. Sarei molto curiosa di sentire i nostri mondi musicali insieme, ma soprattutto di unirmi alle sue pazze coreografie sul palco. 

 

Quanto punti sui social per far conoscere il tuo lavoro? Ce n’è uno che usi più di altri?
I social, se usati bene, oggi possono davvero essere uno strumento efficace, permettendoti di connetterti con tante persone, sono, a mio avviso fondamentali perché possono far volare il tuo progetto musicale potenzialmente ovunque. Non bisogna certo far confusione, la musica non si fa solo sui social con chi ti segue; il supporto della propria community si vede soprattutto live. Io, ad esempio, punto tanto su instagram per esprimere me e la mia musica, sono una persona estroversa e molto autoironica, quindi adoro creare contenuti come foto e video e mi piace moltissimo raccontarmi attraverso le stories.

 

Qual è la cosa che ami di più del fare musica?
La cosa che amo di più del fare musica è la libertà che si può avere nello sperimentare più sonorità diverse, tutte in un unico pezzo. Adoro quando mi connetto con quei pezzi che iniziano in un modo e finiscono in un’altra maniera; come fa Rosalia nel suo album Motomami: punto ad arrivare a quella consapevolezza nello sperimentare diversi stili, vorrei tanto creare un album di quel calibro. Penso che la libertà che ti da la musica, ti permetta anche di conoscere sempre artisti diversi e penso che questa sia una cosa importantissima: conoscere nuove persone, nuove realtà e nuovi suoni per arricchirsi e per creare legami. La musica, in fin dei conti, unisce sempre.